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Anonymous punta ad affossare Amazon: ultimi aggiornamenti sulla guerra informatica

Il collettivo Anonymous tenta l’impresa impossibile: affondare il sito di Amazon, colpevole di aver negato il supporto a Wikileaks; intanto anche Facebook chiude l’account del gruppo.
A cura di Anna Coluccino
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WikiLeaks-cyberwar

Amazon era stato il primo a tradire Wikileaks, il primo a piegarsi alle pressioni istituzionali e a decidere di tagliare il sostegno al sito di Assange. Eppure, finora, il collettivo Anonymous riunito sotto il nome di Operation Payback non aveva ancora preso di mira il sito statunitense, preferendo concentrarsi su altri traditori. E' di queste ore, invece, la notizia che vorrebbe gli hacker pro-Assange pronti ad affossare lo spazio web di Amazon. L'obiettivo è quello di comunicare al mondo che chiunque si schieri contro la libertà d'informazione verrà fatto oggetto di ripercussioni; rappresaglie che hanno lo scopo di danneggiare economicamente le aziende ritenute infide e di mostrare a tutti la penetrabilità dei loro sistemi di sicurezza. E' come se i pirati dicessero: Se vogliamo possiamo, quindi non fateci arrabbiare.

Solo ieri gli hacker di Operation PayBack hanno tirato giù il sito visa.com, rimasto fuori servizio per parecchie ore, e già si preparano ad una nuova battaglia. Sono passati solo 11 giorni da quando i documenti riservati delle diplomazia USA sono stati pubblicati su Wikileaks e diffusi su scala mondiale. Da allora c'è stata un'escalation di cyber-violenza che ha portato i due eserciti nemici a fronteggiarsi quotidianamente, senza sosta. E così come il collettivo Anonymous prepara un'altro attacco sperando di mettere a segno un altro punto, le istituzioni USA guadagnano nuovi, insospettabili alleati.

Dopo la chiusura dell'account Twitter relativo al gruppo di hacker che dirige gli attacchi ai persecutori di Assange, è arrivata a sorpresa -ieri- anche la sospensione del profilo Facebook del gruppo. E oggi sembra che addirittura Wikipedia si sia piegata al volere dei potenti e abbia cancellato la lista di siti mirror che tenevano in piedi Wikileaks dopo l'attacco informatico ricevuto più di una settimana fa. La scusa ufficiale -stavolta- è che il contenuto non era di tipo enciclopedico, ma si limitava ad elencare i siti alternativi su cui poter leggere i documenti "proibiti" ed andava perciò eliminato.

Ora, siamo assolutamente certi che, a voler applicare pedissequamente le varie condizioni d'uso e le politiche aziendali, tutti siano in grado di trovare un cavillo, un codicillo in grado di sostenere l'azione di sabotaggio nei confronti di Assange e il suo sito, il punto è che -allo stesso modo- se si fosse solidali con le intenzioni di Wikileaks e con la libertà di informazione in generale, si potrebbe anche soprassedere su questi cavilli e codicilli, almeno finché dura "l'emergenza". Se, invece, si sceglie di trincerarsi dietro presunti regolamenti e di perpetrare il sabotaggio, significa che è quel che si "vuole" fare, e non quello che si può o -peggio ancora- quello che deve. Aspettiamoci, dunque, un prossimo attacco a Wikipedia.

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