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Apple Music, la rivoluzione musicale che non sarebbe piaciuta a Steve Jobs

Tra poche ore Tim Cook presenterà il servizio di streaming musicale della mela, un annuncio ormai confermato da diverse fonti e che per molti rappresenta la naturale evoluzione della proposta musicale di Apple nata nel 2003 con il lancio di iTunes. Una rivoluzione, insomma, che però non sarebbe piaciuta a Steve Jobs.
A cura di Marco Paretti
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Apple Music Gaga

Steve Jobs e Tim Cook sono due CEO della stessa azienda. Sono entrambi nervosi e agitati, stanno per salire sul palco ad annunciare una grande rivoluzione musicale: un modo totalmente nuovo per acquistare e fruire canzoni. Siamo nel 2003 e Jobs sta per lanciare iTunes Store. Ma siamo anche nel 2015, a poche ore da quando Tim Cook presenterà il servizio di streaming musicale della mela, un annuncio ormai confermato da diverse fonti e che per molti rappresenta la naturale evoluzione della proposta musicale di Apple nata nel 2003 con il lancio di iTunes Store. Le indiscrezioni parlano di un abbonamento mensile di 9,99 dollari che garantirà l'accesso illimitato e senza interruzioni pubblicitarie ai brani del catalogo iTunes, in linea con quanto già offerto dalle aziende concorrenti come Spotify, Deezer e Rdio. Una rivoluzione che, però, non sarebbe piaciuta a Steve Jobs. Durante la conferenza stampa di lancio dello store, infatti, il fondatore di Apple fece un lungo riferimento proprio ai servizi di streaming musicale già presenti – Pressplay e Rhapsody, tra gli altri – e ai siti di download illegale. L'iTunes Store è nato proprio come risposta a questo nuovo metodo di fruizione della musica, che paradossalmente nel giro di poche ore diventerà la prima vera rivoluzione del negozio musicale della mela.

"Questi servizi vi trattano come criminali. Sono basati sugli abbonamenti e noi pensiamo che gli abbonamenti siano la strada sbagliata da intraprendere" ha affermato Jobs durante la conferenza "uno dei motivi è che le persone comprano musica da sempre. Compravamo musica sui vinili, compravamo musica sulle cassette e compravano musica sui CD. Pensiamo che le persone vogliano acquistare canzoni su internet comprando download come compravano vinili, cassette e CD. Sono abituati ad acquistare la musica, così come sono abituati ad ottenere determinati diritti con essa. Quando possiedi la musica, questa non scompare mai. Quando possiedi la musica, hai una serie di diritti personali e puoi ascoltarla come ti pare". Insomma, a sentire il fondatore di Apple lo streaming musicale non solo era poco interessante da un punto di vista commerciale, ma anche estremamente dannoso nei confronti dell'industria musicale.

Steve Jobs iTunes

"Le persone ce l'hanno ripetuto più e più volte: non vogliono noleggiare la musica" ha spiegato Jobs in un evento successivo "per renderlo ancor più chiaro: la musica non è come i video. Il vostro film preferito lo guarderete dieci volte nella vostra vita, mentre la vostra canzone preferita l'ascolterete mille volte. Se il noleggio di questa canzone vi costa 10 dollari al mese o più di 100 dollari all'anno, significa che per ascoltare la vostra canzone preferita per 10 anni dovreste pagare 1.000 dollari in abbonamenti. I consumatori non vogliono abbonamenti". E in questo aveva ragione: al tempo del primo iPod la gente non voleva abbonarsi a nulla, voleva acquistare i CD e, spesso, scaricare illegalmente le canzoni. Voleva possedere fisicamente – o virtualmente – la musica. Ma negli ultimi 12 anni il mondo – e il settore musicale – si è evoluto: l'avvento degli smartphone, della sharing economy e dell'ascolto di musica su nuovi dispositivi hanno ridefinito il concetto di fruizione dei contenuti digitali.

È cresciuto l'interesse e, di conseguenza, l'utilizzo dei servizi di streaming online, ma non l'impatto economico. A 12 anni di distanza dalle dichiarazioni di Jobs, aziende come Spotify o Deezer faticano a generare profitti dagli ascolti degli utenti. Anzi, in sostanza non lo fanno ancora. Spotify, attualmente la realtà più grande del settore con 15 milioni di utenti, ha guadagnato 1,22 miliardi di dollari nel 2014, con un incremento del 45% rispetto all'anno precedente. Lo stesso incremento, però, è avvenuto alle perdite: 197 milioni di dollari, mentre nel 2013 erano pari a 68 milioni di dollari. Senza parlare della continue critiche nei confronti della (piccola) fetta di guadagni riservata agli artisti. Una situazione non proprio rosea che però potrebbe beneficiare della seconda rivoluzione di iTunes, spostando definitivamente i riflettori dall'acquisto al noleggio della musica. Una rivoluzione che potrebbe portare ad una modifica sostanziale del settore, rendendolo davvero redditizio sia per chi lo amministra che per gli artisti. Una rivoluzione che, però, non sarebbe piaciuta a Steve Jobs.

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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