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Arianna Huffington nelle vesti d’una perfida Matrigna: si blogga gratis, o si va via

Arianna Huffington si rifiuta di retribuire i blogger che lavorano per lei sostenendo che non si tratta di “scrittori professionisti” e quindi non meritano di essere pagati per il loro lavoro, la “gloria” è una paga sufficiente. Ma non la pensiamo così. Affatto.
A cura di Anna Coluccino
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arianna-strega

Se fossimo nel regno delle favole, questa storia vedrebbe protagonisti una strega cattiva e tanti piccoli aiutanti volontari che lavorano per lei in condizioni di semi-schiavitù e senza alcuna voce in capitolo, né possibilità di riscatto, né potere contrattuale… Nulla. Dato lo scenario, chissà perché, mi sono venuti in mente la regina Grimilde (la strega di Biancaneve) e i Nani (che in questo caso sono molti, molti più di sette). Certo, il lavoro in questione non è neanche lontanamente paragonabile a quello di un minatore, ma passatemi la metafora, sarà divertente.

In questa storia, il ruolo della strega Grimilade va ad Arianna Huffington, che dopo aver stupito ed entusiasmato il mondo con un esperimento dall'indubbio successo, un progetto che ha creato un nuovo gold standard al quale tutti i giornali online non hanno potuto fare a meno di aderire, ora ha deciso di vestire il ruolo della regina dal cuore di ghiaccio, della donna d'affari senz'anima. Nessuno contesta a Grimilde (ops) Arianna gli straordinari risultati conseguiti alla guida dell'Huffington Post, ma di certo non si può restare indifferenti di fronte all'arrogante e sfacciato atteggiamento che ha deciso di assumere nei confronti di chi, insieme a lei, ha reso grande l'HuffPo: i Nani (ops) i blogger.

E di certo non restano indifferenti il New York Times (il più agguerrito concorrente dell'Huffington, diciamo una sorta di Vecchio Re che, però, ha saputo restare al passo con i tempi e continua a dispensare saggezza) e la Newspaper Guild (associazione sindacale americana che conta 26.000 associati fra giornalisti e comunicatori che potrebbe impersonare l'associazione delle Fate Madrine).

Il pomo della discordia è il seguente.

Secondo Grimilde non è affatto disdicevole ricevere 315 milioni di dollari dalla AOL (ora non aspettatevi che trovi un ruolo a tutti, i personaggi secondari lasciamoli sullo sfondo…) e continuare a non pagare i laboriosi Nani che hanno reso grande il suo giornale, e questo perché, a suo avviso, i Nani non sono dei veri "professionisti" (nel senso che non riescono a sostenersi con il solo lavoro di giornalista) ed inoltre esiste già un rapporto di do ut des: i Nani offrono lavoro e Grimilde gloria e visibilità. Ma il Vecchio Re e l'Associazione delle Fate Madrine non sono affatto d'accordo, tanto che entrambi hanno deciso di schierarsi sulla linea del boicottaggio, invitando i lettori a non visitare più le pagine dell'Huffington finché Grimilde non corrisponderà un compenso ai suoi Nani.

Ma Grimilde se la ride di grassa, sostenendo di avere a disposizione migliaia di altri Nani disposti a scrivere gratis per lei, il suo è un motto del tipo "o mangiate questa minestra o saltate dalla finestra", nessun compromesso è possibile, nessuna contrattazione verrà attivata. È così. Punto.

Ed è a questo punto che non possiamo fare a meno di tornare seri e provare a ragionare, con grande attenzione, su quel che sta davvero sostenendo Arianna: la Huffington sostiene che chiunque faccia un lavoro che non è quello per cui viene generalmente pagato non ha diritto ad un compenso, perché il solo fatto di "consentirgli" di fare quel lavoro -con tutta la "gloria" che ne deriva- dovrebbe essere più che sufficiente. Ora, mettiamo il caso che uno studente di medicina, per mantenersi gli studi, faccia anche il cameriere, e che quello sia il mestiere da cui trae i profitti necessari per tirare a campare: questo significa che l'ospedale non sarà tenuto a pagarlo quando comincerà la specializzazione? Perché non è ancora un "professionista"? E ora mettiamo il caso di un avvocato che, magari, ha sempre voluto il giornalista e comincia a scrivere per qualche testata, in che modo potrebbe diventare un "professionista" (nel senso inteso dalla Huffngton, ovvero "vivere di giornalismo") se tutti i giornali per cui scrive fanno lo stesso ragionamento di Grimilde Arianna? Vi rendete conto della pericolosa, cinica follia che si cela dietro un tale ragionamento?

Huffington post lavorare gratis

La questione è molto semplice: nonostante la deriva precarizzante, schiavizzante e senza alcun rispetto che il mondo del lavoro ha preso negli ultimi anni -specie se parliamo lavori afferenti al campo umanistico- non è possibile fingere di non conoscere la regola basilare di qualunque tipo di mestiere. Il lavoro può essere misurato solo in base al tempo che occorre per svolgerlo, e se i blogger dell'Huffington dedicano tempo e risorse a scrivere articoli di qualità per il giornale online, hanno diritto ad essere retribuiti. Certo, il livello della loro paga non sarà equiparato a quello di chi già conosce e padroneggia il mestiere, ma la paga non può essere equivalente zero. A nessuno verrebbe mai in mente di non pagare un elettricista che viene a fare una riparazione solo perché, magari, lo fa come secondo lavoro e non è da quel mestiere che trae le principali risorse economiche: l'elettricista fa un lavoro e viene pagato, se non si comporta in maniera "professionale" -nel senso che non si dimostra in grado di riparare per bene il danno- non lo si richiama, ma di certo non gli si chiede "scusami, tu vivi facendo l'elettricista o fai altro per mantenerti?" prima di decidere se pagarlo o no, che razza di ragionamento sarebbe! O meglio: che razza di ragionamento è?

Il discorso della gloria, poi, è assurdo. Davvero.

Siamo arrivati al punti in cui attori, scrittori, registi, giornalisti, avvocati in erba e moltissime altre figure professionali non vengono quasi mai retribuite per il lavoro che svolgono, e questo perché si crede che la gioia che provano nel farlo dovrebbe bastare a riempir loro la pancia: pagano il fatto di fare un lavoro che amano e, così, vengono costantemente obbligati a ripiegare su altri mestieri per vivere, salvo poi essere considerati "non professionisti" perché non riescono a vivere di scrittura, recitazione e compagnia cantando.

Sappiamo che la dura presa di posizione del New York Times ha di sicuro un fondo di cinismo, non siamo degli ingenui. Il celebre quotidiano è più che interessato ad un calo di visite ai danni dell'Huffington Post, ed è ovvio che cavalchi l'onda dell'indignazione, ma questo non rende la battaglia dei blogger e della Newspaper Guild meno degna o meno importante.

La verità è che, nelle favole, le Grimilde di turno fanno una brutta fine e il bene finisce per trionfare. Ora, nessuno vuole gettare Arianna Huffigton giù da una rupe, in un forno, o farla finire schiacciata da una casa volante che ha viaggiava nell'occhio di un ciclone, speriamo solo si renda conto che non può -non può!- chiedere alle persone di lavorare gratis utilizzando scuse talvolta peggiori della richiesta stessa. Speriamo solo rinsavisca e riconosca che il meritato successo dell'HuffPost poggia anche sulle spalle dei Nani: parafrasando Isaac Newton, solo arrampicandosi sui loro seppur piccoli e gracili corpi, l'Huffngton è diventato il gigante che è oggi. E non sarebbe ora di riconoscere la passione, la dedizione e la professionalità di quei blogger retribuendoli e, soprattutto, evitando di minacciare di sostituirli con un nuovo stock di schiavetti pronti a lavorare gratis fino a quando, anche loro, non saranno troppo indignanti per farlo? Non sarebbe ora di smetterla con la logica del ricatto e del "se non ti sta bene ne trovo altri mille"?

Sarebbe ora.

Sarebbe ora di leggere un happy end,  un "e vissero felici e contenti"… E chissà, magari stavolta non sarà indispensabile passare sul cadavere di Grimilde per ottenere giustizia.

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