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Cassazione, l’azienda può spiare i dipendenti anche su Facebook

Sentenza che farà certamente discutere quella che ha emesso oggi la Cassazione, anche se non va intesa in maniera generalizzata. La Suprema Corte ha stabilito che un’azienda può spiare un proprio dipendente anche su Facebook.
A cura di Francesco Russo
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Sentenza che farà certamente discutere quella che ha emesso oggi la Cassazione, anche se non va intesa in maniera generalizzata. La Suprema Corte ha stabilito che un'azienda può spiare un proprio dipendente anche su Facebook. Questo principio, precisa la Corte, può valere nel caso in cui un'azienda crei un account occulto (fake) ma solo per "riscontrare e sanzionare un comportamento idoneo a ledere il patrimonio aziendale" e non per controllare "l'attività lavorativa più propriamente detta".

Infatti la Cassazione tiene a delimitare bene l'abito di applicazione di questa sentenza in quanto non si può affermare l'idea che "la creazione del falso profilo Facebook costituisca, di per sè, violazione dei principi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del rapporto di lavoro, attenendo ad una mera modalità di accertamento dell'illecito commesso dal lavoratore, non invasiva né induttiva all'infrazione, avendo funzionato come mera occasione o sollecitazione cui il lavoratore ha prontamente e consapevolmente aderito".

La vicenda su cui si è espressa la Suprema Corte riguarda il ricorso portato avanti da un operaio abruzzese, addetto alle stampatrici, che era stato licenziato "per giusta causa" nel settembre 2012 sulla base di una serie di contestazioni tra le quali quella di essersi intrattenuto con il suo cellulare a "conversare su Facebook". Le verifiche sul caso era state rese possibili attraverso la creazione da parte del responsabile del personale dell'azienda di un «falso profilo di donna su Facebook». E la sentenza di oggi, la n. 10955 della sezione Lavoro, ha in effetti confermato il licenziamento dell'operaio, stabilendo questo principio da intendersi in maniera limitata.

In precedenza anche la Corte d'Appello dell'Aquila aveva ritenuto legittimo il controllo fatto sul dipendente, ritenendolo privo di "invasività". E il giudizio è stato confermato anche oggi da piazza Cavour.

Quello che stabilisce la Cassazione è che sono ammessi "controlli difensivi ‘occulti', anche ad opera di personale estraneo all'organizzazione aziendale, in quanto diretti all'accertamento di comportamenti illeciti diversi dal mero inadempimento della prestazione lavorativa, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, ferma comunque restando la necessaria esplicazione delle attività di accertamento mediante modalità non eccessivamente invasive e rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti, con le quali l'interesse del datore di lavoro al controllo e alla difesa dell'organizzazione produttiva aziendale deve contemperarsi e, in ogni caso, sempre secondo i canoni generali della correttezza e buona fede contrattuale".

La Cassazione dunque ha ritenuto essere ammissibile la fase di controllo "occulto" che mirava solo a verificare "l'eventuale perpetrazione di comportamenti illeciti da parte del dipendente, poi effettivamente riscontrati e già manifestati nei giorni precedenti allorché il lavoratore era stato sorpreso al telefono lontano dalla pressa cui era addetto, ed era stata scoperta la sua detenzione in azienda di un dispositivo elettronico utile per conversazioni via internet".

Insomma, una sentenza che farà discutere e non poco.

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