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Il 2013 sarà l’anno dell’addio al digital divide in Italia?

Grazie al Decreto Crescita 2.0 in arrivo 320 milioni da investire nelle infrastrutture. Entro quest’anno una banda minima garantita per tutti di 2Mbps e lo sviluppo della rete fino a 100 Mbps in trenta città. Un enorme passo avanti per il nostro Paese ma l’Europa chiede ancora di più.
A cura di Angelo Marra
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L'anno che è appena iniziato potrebbe vedere la fine del digital divide nel nostro Paese. Chiariamo, come "digital divide" si intende lo scalino che ci separa da una fruizione basilare dei contenuti digitali tramite infrastrutture adeguate, non certo il raffronto con le realtà di molte altre nazioni europee – verso le quali la differenza continua a mantenersi in maniera inesorabile – ma la sconfitta dell'italica tradizione analogica rappresenta in ogni caso una notizia da accogliere con entusiasmo.

Il Decreto Crescita 2.0 è ormai realtà e con esso anche i 320 milioni rastrellati dai tecnici per implementare le strutture delle reti, sviluppando due progetti paralleli, la banda larga garantita per tutti e quella ultra larga nelle 30 città principali. Il primo punto rappresenta una vera e propria vergogna italiana, con oltre 4 milioni di utenti che ancora non usufruiscono di una connessione di almeno 2Mbps, condizione necessaria per accedere ai servizi digitali in maniera decorosa. Peggio di noi, secondo l'ultimo rapporto Akamai, soltanto la Turchia.

Le ragioni di questo ritardo vanno cercate principalmente nello ridotto interesse degli operatori privati verso le zone a più scarsa densità di popolazione, dove il ritorno economico degli investimenti sarebbe stato più lento e meno garantito. Accanto a questo contesto vi è stata una vacatio legis nel settore legata a doppio filo agli interessi nel campo televisivo di Berlusconi e del precedente governo, la cui attività è stata del tutto avulsa da interventi significativi nell'ambito dell'ammodernamento delle infrastrutture.  I diktat di Bruxelles hanno costretto però l'Italia ad intervenire su questa condizione di arretratezza in tempi molto rapidi ed il Governo Monti ha recepito in grossa parte delle indicazioni, messe nero su bianco con il Progetto Strategico realizzato da Passera ed il Decreto Crescita 2.0.

Entro il 2013 il Governo pubblicherà quindi dei bandi per la copertura delle cosiddette aree bianche, dividendo i costi per la realizzazione di nuove reti con gli operatori privati. L'applicazione della tecnologia LTE (4G) unita alle frequenze ad 800Mhz assegnate recentemente agli operatori mobili (prima erano utilizzate dalle tv locali) potrebbe finalmente garantire un segnale anche nelle zone periferiche e non coperte da una rete di terra adeguata.

Per quello che riguarda la banda ultra larga, la prima reale evoluzione per l'Italia, i progetti si dividono tra l'implementazione della rete LTE (già arrivata con alcuni operatori ad oltre 30Mbps in città come Roma, Milano, Napoli e Torino) e la diffusione della fibra ottica, vera e propria ossatura delle nuove reti. La fibra sarà fondamentale non solo per le reti di terra e le connessioni fisse ma anche per collegare tra loro le centrali di ripetizione del segnale 4G e quindi delle connessioni mobili. Telecom e Fastweb sono in prima fila per la rete di tipo Vdsl2, basata su fibra ottica ma solo fino alle cabine in strada, con il conseguente effetto del "collo di bottiglia", mentre Metroweb è al lavoro per la rete a 100Mbps con fibra fino nelle case (già attiva a Milano e in 30 città entro il 2015).

Si tratta certamente di un grande passo avanti per l'Italia che ci permetterà di rapportarci con i partner stranieri, se non in una situazione di parità, almeno senza una differenza abissale, eppure gli interventi pianificati dal Governo Monti potrebbero rivelarsi insufficienti a coprire le richieste dell'Europa. Bruxelles infatti chiede una banda minima garantita di 30Mbps per tutti e 100Mbps per almeno metà della popolazione entro il 2020, un traguardo difficile da raggiungere sia per l'enorme ritardo con cui il nostro Paese ha avviato i suoi progetti di ammodernamento, sia per la canonica carenza di fondi (oltre all'incognita legata all'azione del prossimo esecutivo).

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