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India mon amour, ovvero, la Mecca dei geek

E’ una donna ed è indiana. Si chiama Angela Saini e ha scritto un libro in cui l’India -pur con le sue mille contraddizioni- viene candidata a centro d’eccellenza quanto a innovazione. Altro che Silicon Valley, altro che Cina, il futuro abita tra le quattro braccia di Shiva.
A cura di Anna Coluccino
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Geek Nation_libro

Sembra finito il tempo in cui l'India poteva essere considerata soltanto come la patria dei call center o -più in generale- dell'Information Technology, ed è anche finito il tempo in cui le migliori menti indiane espatriavano (prevalentemente verso USA e Cina) alla ricerca di condizioni più floride in cui accrescere le proprie competenze o, semplicemente, guidate dal desiderio di entrare a far parte delle compagnie più cool del pianeta (Microsoft, Apple e Google su tutte). Ma oggi il futuro abita tra le braccia di Visnu e a dirlo -tra gli altri- è Angela Saini, scrittrice londinese, pluripremiata, indipendente, geek girl di origini indiane, figlia di geek. Nel corso del suo viaggio tecnologico tra le contraddizioni profondissime della nazione indiana (dove hi-tech e arretratezza culturale convivono nello spazio di un bit) è andata convincendosi del fatto che l'India è destinata a diventare la prossima superpotenza scientifica del mondo.

Come riesca una nazione in cui -ancora oggi- esistono uomini considerati "intoccabili" (i dalit ovvero esseri umani che, per nascita, sarebbero segnati da permanente impurità e che, per questo, non possono entrare in contatto con caste superiori) a imporre il suo passo al resto del mondo è un aspetto che l'occidente dovrebbe preoccuparsi d'indagare a fondo. Certo, anche l'ovest del mondo ha i suoi Paria (seppure meno evidenti… meno "formalizzati") ma -probabilmente- tra le cause di questa nuova avanzata orientale c'è dell'altro.

La verità è che per qualche ragione di ordine sociologico (tra gli oggetti dell'indagine della Saini) gli indiani amano la tecnologia e sembrano avere una naturale predisposizione alla geekitudine. Come giustamente osserva la giornalista, infatti, tutte le nazioni di lingua inglese hanno almeno un indian-geek nelle classi scolastiche di ogni ordine e grado, e ogni tech-company che si rispetti vede nel proprio organico decine e decine di ingegneri di nazionalità indiana, di cui molti -ormai- occupano posti di primo piano nello scenario tecnologico. Eppure l'India non è mai stata una nazione florida sotto il punto di vista dell'innovazione e della presenza di start-up, almeno fino ad oggi. Eh già, perché ora sembra proprio che, dopo aver passato molti anni a far fiorire aziende altrui, i giovani geek indiani abbiano tutta l'intenzione di fare da soli e -soprattutto- di essere profeti in patria.

[Era ora, verrebbe da dire. E diciamolo pure.]

Angela Saini e la nuova Geek Nation

L'India sarà la prossima superpotenza tecnologica?

Persino il presidente statunitense Barack Obama ha citato l'India tra le nazioni con cui gli States dovranno competere per conservare l'attuale supremazia tecnologica, il dato -quindi- appare incontestabile, anche se per il momento è tutto assolutamente in fieri e nulla è ancora venuto alla luce in maniera evidente. Ciò che è certo è che gli esuli volontari stanno rientrando con la voglia di creare, e pare che i campi più gettonati siano quelli biotecnologici, delle life sciences e dell'informatica. Tra i sentimenti più potenti che, al momento, agitano l'India -infatti- la Saini ha individuato il desiderio di aiutare la parte più povera della popolazione indiana, e chissà che questa ondata di innovazione  non si riveli utile anche a livellare le profonde ingiustizie sociali che (per ragioni prettamente politico-religiose) continuano a sopravvivere in una stato che prima di potersi definire davvero "moderno" dovrà avviare un serio percorso di laicizzazione delle dinamiche relazionali. Perché questo e solo questo potrebbe essere il vero freno alla rivoluzione tecnologica made in India, il Giappone -a cui la giornalista paragona giustamente il suo paese d'origine- ha avuto un exursus simile negli anni '70: da nazione che esportava cervelli che finivano a lavorare per le più grandi aziende del settore ma sembrava incapace di "creare" innovazione, è diventata leader mondiale del settore tecnologico. Ma il limite del Giappone era di tipo "culturale"; chiunque abbia mai passato anche un solo minuto in terra giapponese non può non aver notato la folle alacrità dei suoi abitanti, solerzia che spesso diventa alienante e ossessiva e non concede spazio all'ozio o al riposo che sono linfa vitale per la creatività. Il Giappone è riuscito a superare quest'ostacolo, ma se il freno dell'India fosse -invece- di tipo mistico/religioso, legato a credenze e atteggiamenti mentali prevalentemente inconsci il percorso di redenzione e riappropriazione delle proprio -innegabili- capacità potrebbe essere più accidentato.

Naturalmente tutte queste speculazioni di ordine filosofico-sociologico non aspirano al sapore del assoluto, del giudizio definitivo, ma non sono altri che spunti utili a innescare una riflessione in materia. Ovvero: quanto l'educazione, la società e i dogmi culturali, religiosi e sociali in cui si nasce e si cresce influiscono sull'atteggiamento mentale delle persone rendendole "naturalmente portate" per un certo tipo di percorso piuttosto che un'altro? E soprattutto, come si fa a liberarsene?

Il Giappone ci è riuscito. L'India ci sta provando. L'Italia?

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