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La Commissione Europea prepara la stangata per Google

Google rischia una multa pari al 10% del suo fatturato per abuso di posizione dominante. Eric Schmidt in settimana è atteso a a Bruxelles per un incontro “di cortesia” con il commissario Almunia. Intanto la Commissione Europea sembra aver preparato un documento d’accusa di ben 400 pagine.
A cura di Anna Coluccino
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È ormai passato più di un anno da quando la Commissione Europea ha presto di mira Google per via delle molteplici violazioni della normativa anti-trust, eppure -a tutt'oggi- nessuna misura ufficiale è stata adottata.

Ciononostante, è notorio -verrebbe da dire pacifico- come i conflitti generati da BigG negli ultimi tempi siano tali e tanti da aver persino spinto molteplici cronisti ad azzardare un paragone con Microsoft. Paragone che si rafforzerebbe ancor di più se, come pare, venissero confermate le ipotesi che vorrebbero la Commissione Europea ormai prossima alla stangata.

Vale la pena ricordare, infatti, che fu proprio la Commissione Europea per la Concorrenza, all'epoca guidata dal neo premier Mario Monti, a multare Microsoft per la cifra record di 497,2 milioni di euro, scatenando una reazione a catena che da lì a pochi anni avrebbe ridimensionato sensibilmente il patrimonio della compagnia di Redmond.

Volendo giocare a paragonare i due colossi, Google e Microsoft hanno moltissimo in comune quanto a stile aziendale e, negli ultimi anni, la distanza culturale tra le due compagnie è andata ulteriormente assottigliandosi, tanto che il celebre Don't be evil, imperituro motto di BigG, somiglia sempre più ad un puro slogan propagandistico piuttosto che a un reale impegno nel campo della responsabilità sociale.

Certo, le attività filantropiche di Google sono tutt'ora in piedi e, rispetto a molti suoi concorrenti, c'è un po' di preoccupazione in più in merito alle problematiche inerenti l'ecologia e il risparmio energetico, ma può mai essere sufficiente un così modesto impegno per dichiarare che la compagnia di Mountain View sia un fiore all'occhiello del capitalismo, una paladina della giustizia e della concorrenza leale?

Quest'ultimo punto, in particolare, viene da più parti attaccato da diverso tempo. Secondo molti, Google non concorre lealmente, e ora l'UE sembra intenda prendere provvedimenti in merito.

A riportare la notizia della possibile stangata è il Financial Times, ovvero il più importante giornale economico-finanziario del Regno Unito, il che fa pensare ad una notizia che potrebbe presto avere il carattere dell'ufficialità.

Secondo il celebre quotidiano britannico, la Commissione Europea sarebbe sul punto di emettere una comunicazione all'indirizzo della compagni di Mountain View (comunicazione che si articola in oltre quattrocento pagine) in cui si accusa Google di abuso di posizione dominante. Il tutto farebbe principalmente capo alle denunce presentate lo scorso novembre dai motori di ricerca Foundem, Ciao ed eJustice, i quali hanno accusato il colosso di Mountain View  di utilizzare un algoritmo di indicizzazione che penalizza di proposito i succitati siti, declassando i risultati che li riguardano allo scopo di renderli meno visibili agli utenti.

Se questa non è concorrenza sleale, cosa lo è?

Rispetto a questo dato in molti ribattono che, in quanto realtà commerciale dichiaratamente votata al profitto, Google avrebbe tutto il diritto di garantire se stessa rispetto alla concorrenza, ma il punto è che se un gigante come BigG pratica ostruzionismo nei confronti di realtà medio-piccole, esse sono destinate a scomparire anche se, potenzialmente, avrebbero le carte in regole per mettere in campo un prodotto migliore di quello offerto dalla stessa Google.

È proprio per garantire la possibilità di continuare a concorrere sul mercato nonostante la presenza di colossi e multinazionali che nasce l'esigenza di una normativa antitrust e, di conseguenza, le critiche di chi crede che una realtà commerciale -anche se gigantesca come BigG- sia legittimata ad una pratica "protezionista" nei confronti dei propri prodotti incontra la contrarietà della legge e delle stesse regole del Capitale.

In un primo tentativo di risposta all'iniziativa legale dei tre motori di ricerca, Google aveva provato a "scaricare" la colpa di quanto accaduto su Microsoft, un big contro cui l'Europa ha già avuto modo di prendersela e rispetto a cui la pratica della stangata antitrust è stata ampiamente sdoganata. Secondo BigG, infatti, dietro la denuncia dei tre siti ci sarebbe la mano di BigM che, avendo acquistato Ciao nel 2008 ed essendo in parte finanziatrice di Foundem, avrebbe tutto l'interesse a spezzare le gambe a Google.  Ma il punto è che, se anche fosse così (e probabilmente lo è) il comportamento scorretto da parte dell'azienda di Mountain View resterebbe comunque sanzionabile.

Stando a quanto dichiarato dal Financial Times, però, il lungo documento d'accusa potrebbe non riguardare esclusivamente il caso Ciao-Foundem-eJustice e spaziare a più livelli nel merito di tutte le questioni che, in questi ultimi anni, si sono aperte riguardo i comportamenti di Google.

Secondo le indiscrezioni, nel corso di questa settimana il presidente della compagnia di Mountain View, Eric Schmidt, potrebbe decidere di recarsi dal Commissario Europeo per la Concorrenza, Joaquìn Almunia, allo scopo di provare a risolvere la questione senza dover necessariamente arrivare al sanzionamento che, com'è notorio, più che rappresentare un problema economico in sé e per sé, in genere finisce per aprire un varco legislativo che autorizza molti altri competitor a lanciarsi all'attacco.

C'è poi da considerare che, viste le recenti operazioni per l'acquisto di Motorola da parte di Google, Schmidt voglia assicurarsi che, almeno su quel fronte, non sussistano problemi di sorta che potrebbero aggravare la posizione del colosso statunitense.

Almunia e Schmidt si sono già incontrati una volta, lo scorso febbraio, e già in quell'occasione il presidente di Google ebbe modo di auspicare una risoluzione della diatriba che non passasse per la multa. Pare però piuttosto difficile che, stavolta, BigG riesca ad uscire dell'impasse con un semplice gioco diplomatico o con qualche concessione più o meno soft. Il malcontento che circonda BigG è ampio e diffuso e difficilmente potrà essere zittito da un gesto che non abbia la qualità proprie dell'atto clamoroso.

Tanto per offrire uno sguardo ad ampio raggio sulla questione, pur senza pretese di esaustività, basti pensare che all'indomani della denuncia dei tre siti sopracitati, molti altri siti hanno sottoscritto l'istanza, tra cui:

  • 1plusV
  • Microsoft
  • Elfvoetbal
  • HotMaps
  • Interactiv Labs
  • nnpt.it
  • dealdujour.pro
  • Twenga

A questo punto, se le accuse nei confronti di Google dovessero essere formalizzare nel documento di 400 pagine (che costituisce un atto di accusa sì formale ma non pubblico) a BigG resteranno due sole opzioni possibili: modificare i risultati di ricerca secondo i dettami della Commisione Europea al fine di rimuovere l'abuso di posizione dominante  (facendo crollare così l'impianto accusatorio senza incorrere in sanzioni), oppure affrontare le accuse in tribunale e, in caso di sconfitta, vedersi costretta al pagamento del 10% del proprio fatturato annuale.

In apparenza, e fino a questo momento, BigG è sembrata molto sicura delle proprie ragioni e ha sempre affermato di essere disposta a collaborare in ogni fase dell'indagine. Il punto di vista di Google, volendo semplificare all'osso, è quello del "perseguitato", vale a dire del gigante che -pur provando a rispettare tutte le regole della buona concorrenza- si vede costantemente messo sotto accusa non tanto per via di consistenti azioni anti-concorrenziali, ma a causa delle macchinazioni di altri colossi -Microsoft- che provano a minare la credibilità del sistema per evidenti ragioni di opportunismo.

Quanto e se BigG si troverà davanti all'ipotesi di dover affrontare una causa con il rischio di perdere, e rinunciare così a un decimo del suo fatturato (per non parlare dell'apertura del precedente giuridico…) sapremo se le convinzioni finora rappresentate dal colosso di Mountain View sono reali, supportate da fatti dimostrabili o se, al contrario, le accuse hanno un fondamento tale da rendere preferibile la via dell'ammissione del torto e della rimozione degli ostacoli alla concorrenza.

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