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Luca De Biase parla del suo ultimo libro: Economia della Felicità – Dalla blogosfera al valore del dono e oltre

Luca De Biase, caporedattore di Nova24 inserto settimanale de Il Sole 24 ore dedicato all’innovazione e alla ricerca, ci parla in questa bella intervista a Dialoghi Digitali, del suo ultimo libro intitolato “Economia della Felicità.
A cura di Fanpage Admin
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"Economia della Felicità. Dalla blogosfera al valore del dono e oltre" (Feltrinelli 2007) è l’ultimo libro di Luca De Biase, caporedattore di Nova24 inserto settimanale de Il Sole 24 ore dedicato all’innovazione e alla ricerca.

Il libro racconta la transizione che si sta compiendo sotto i nostri occhi verso la società della conoscenza. Stiamo assistendo al passaggio da un’epoca in cui il futuro era concreto, tangibile e facilmente identificabile nel progresso, all’epoca delle idee, in cui i nuovi media digitali giocano un ruolo fondamentale contribuendo alla riscoperta di valori quali l’importanza delle relazioni, il rispetto dell’ambiente, la tolleranza, la gratuità.

In Economia della Felicità racconta questo periodo di transizione verso la società della conoscenza favorito dai nuovi media digitali: quali sono i segni che fanno capire che tale trasformazione è in atto?

Il modo di raccontarcelo tipico è questo: la struttura fondamentale dell’epoca industriale è in via di superamento da un certo tempo. Non è che queste cose succedono in 5 minuti. Il mondo industriale era fondamentalmente facile da leggere, o perlomeno avevamo imparato a leggerlo, era un mondo nel quale diciamo la metafora della linea di montaggio era utilizzabile per interpretare l’insieme dell’economia, era abbastanza facile leggere le cose in modo lineare. La vita quotidiana aveva un’agenda segnata da una serie di appuntamenti uno dietro l’altro o di attività che si facevano nel tempo occupato, nel tempo libero e quant’altro, in maniera lineare. I media dell’epoca avevano il loro palinsesto lineare e quello in qualche misura era corrispondente alla linearità dell’epoca industriale. La produzione era orientata a grandi masse.

La scelta di ciò che andava prodotto era orientata a servire grandi insiemi di persone con prodotti fondamentalmente tutti uguali e quindi si parlava di consumo di massa. I messaggi e l’informazione a loro volta erano organizzati intorno ai media di massa, cioè poche emittenti, pochi contenuti per vasti insiemi di persone che venivano definiti target, sia dal marketing dei prodotti sia dal marketing dei media. Le persone accomunate da caratteristiche simili, venivano considerate un target e subivano i loro ruoli sociali in maniera massificata: consumatori, ascoltatori della televisione, risparmiatori, lettori di giornali. Mai che si parlasse di persone.
Ciò nel tempo si è evoluto in maniera significativa. Man mano che il valore si sposta dall’oggetto materiale, dalla lavorazione delle materie prime, alle idee, all’informazione, al senso e all’immagine connessi ai prodotti, all’immateriale come si suol dire, succedono cose molto importanti e complicate da raccontare. Ogni passo dell’economia in un contesto nel quale il valore è concentrato sulle idee diventa qualcosa di diverso da quello che era prima. Tutte le linearità alle quali noi eravamo abituati si trasformano in sistemi complessi, nei quali ogni elemento gioca a influenzare gli altri in maniera non sempre prevedibile, perché il senso, il significato, l’informazione che è connessa ai prodotti/servizi è legata al senso, all’informazione e all’immagine di altri prodotti e di altre cose che si fanno nella vita in maniera complessa. Tutto ciò va analizzato da un punto di vista di teoria della complessità e non di linearità. Contemporaneamente i media raccontano questa trasformazione a loro volta trasformandosi e accogliendo questa nuova dimensione mediatica che è basata sulle persone che dialogano, che comunicano, che conversano, che si esprimono e si connettono tra loro in un gioco di altruismo egoista. Nel momento in cui io partecipo, cerco di essere riconosciuto dagli altri regalando parte di me all’insieme.

La regola fondamentale dei media delle persone è la relazione tra di esse che si sviluppa attraverso un altruismo egoista. Stiamo parlando quindi di una ricerca del riconoscimento di ciò che si è, che avviene dandosi alla rete. Ogni persona diventa dunque un nodo di una rete che produce informazione, che legge informazione, che la trasmette, la critica, la rielabora, e i messaggi importanti viaggiano di persona in persona in un enorme passaparola. Questo cambiamento è quello che noi vediamo, interpretarlo in maniera sintetica in modo raccontabile in poche parole invece è ancora complesso.

Quanto è cambiato il modo di raccontare il futuro dall’epoca industriale ad oggi?

Se noi vivessimo nell’epoca industriale sapremmo che cosa fare per progredire, per far sì che i nostri figli siano meglio di noi. Chi partiva dalla Calabria per andare a Torino in fabbrica sapeva di sacrificare una parte del suo benessere, delle sue relazioni sociali e ambientali in favore di una ricerca abbastanza chiara dal punto di vista interpretativo di una vita migliore per sé e per i propri figli. Il racconto del futuro allora era relativamente facile, quello che viviamo in questa fase di transizione è la difficoltà di raccontarci la prospettiva che abbiamo davanti che evidentemente non è priva di sofferenze. Noi possiamo sacrificarci ma non sappiamo se questo porta a dei miglioramenti nella vita nostra e dei nostri figli, non sappiamo bene come sarà rielaborato il concetto di crescita o di progresso. Più che avere già espresso e compreso il nuovo paradigma sappiamo che ci stiamo entrando e dobbiamo sviluppare culturalmente gli strumenti per interpretarlo e viverci con un percorso davanti che sia raccontabile con una prospettiva di crescita e di sviluppo. Nell’incertezza, nell’ignoranza della prospettiva, c’è effettivamente un elemento di sofferenza. Questo è quello che probabilmente stiamo vivendo in questo momento.

Il valore di raccontarsi queste cose è quello di indagare intorno alle forme della prospettiva che abbiamo davanti proprio per catalizzare le forze, le attenzioni, gli interessi sulla capacità di scommettere sul futuro che è poi una delle cose che sono necessarie alle persone per potersi mettere in gioco in modo soddisfacente. Gli elementi che vediamo sono elementi abbastanza significativi, sono dei modi più liberi. Non siamo nel dominio del consumo fine a se stesso ma nelle relazioni con la gente, con l’ambiente, relazioni con i beni culturali, e le questioni identitarie profonde. Quindi questo genere di beni che si impongono non sono monetariamente misurabili sono più gratuiti, l’amore, l’amicizia, le relazioni tra le persone in primo luogo sono stati riaccettati nel mondo dell’analisi economica e questo è un segno significativo di un cambiamento forte. L’altro segno è appunto che i media invece di essere orientati a target sono fatti da persone e quindi dichiarano in modo abbastanza concreto che il racconto di una società sta cambiando intorno a questa nuova centralità delle persone.

In questo periodo di trasformazione stiamo assistendo all’emergere di valori come lei stesso ha precisato, quali l’amore, l’amicizia, la gratuità, il tempo. Quanto hanno contribuito i blog e i social network alla loro riscoperta?

Il medium internet ha creato un luogo di esperienze molto significativo. Migliaia e migliaia di persone in Italia e centinaia di milioni nel mondo grazie ad esso vivono questa nuova esperienza: donandosi ottengono in cambio uno spazio di espressione, di libertà intellettuale e di scambio gratuito di idee, che effettivamente arricchisce l’esperienza stessa. Quindi di fatto sperimentano il valore del gratuito, il valore delle relazioni, e nello stesso tempo lo raccontano e lo testimoniano partecipando. In questo modo, internet ha dato una concretezza fattuale alle idee di recupero del valore delle relazioni gratuite che altrimenti sarebbe rimasta una teoria, un insieme di affermazioni di valore. Adesso è soprattutto esperienza concreta di milioni e milioni di persone.

Il libro inizia con le parole di John Baffo: “Gli americani sono matti. Soldi. Soldi. Soldi. Niente felicità”. Lui è un tassista americano, nato nel Ghana: il libro ci pone quindi subito davanti al confronto tra identità culturali diverse. In che misura tale confronto è favorito da internet? Penso ad esempio al ruolo fondamentale di Global Voices…

E certamente anche in questo senso internet conta come contano tutte le trasformazioni mediatiche che vediamo. Diciamo che abbiamo anche qui un’esperienza da raccontare molto ampia che abbiamo chiamato globalizzazione, cambiando continuamente il senso della parola. In questo momento appunto globalizzazione non è più soltanto la fine dei due blocchi est-ovest, non è più soltanto un fatto di mercato globale, nel quale il sistema occidentale conquista e assorbe ogni altro luogo omologando le culture. Anzi sulla scia dei successi della Cina, dell’India e di altri luoghi che non si comportano seguendo le regole di mercato tradizionale e attraverso i nuovi media sta succedendo che arriviamo un po’ a sintetizzare tutto l’insieme delle opportunità di innovazioni nelle relazioni tra le culture che in qualche misura si era sperato di poter vivere una volta finito l’epoca coloniale e una volta criticata l’idea di globalizzazione come omologazione al mercato occidentale.

In Economia della Felicità lei parla di pubblico cattivo. Penso ad esempio al caso dei gruppi filo mafiosi di Facebook. Quali sono gli strumenti offerti da internet al pubblico attivo per arginare i comportamenti al limite del vivere sociale?

Questa è una domanda molto giusta. La dinamica del pubblico attivo un po’ l’abbiamo vista ed è quella positiva e sostanziosa esperienza che le persone possono fare nella partecipazione a un medium orizzontale. Il gioco di parole “pubblico cattivo” vuol dire che c’è anche chi si esprime per sostenere valori che sono antisociali, violenti e contrari alla convivenza pacifica. Il pubblico cattivo c’è e al di là dei sostenitori di Riina che non so che origine, che scopi, che significato vogliono dare alla loro cosa. In realtà c’è ben di peggio: c’è l’antisemitismo, c’è l’integralismo islamico, c’è il terrorismo, ci sono le organizzazioni che utilizzano l’aggregazione dei tifosi calcistici per sostenere valori di violenza molto negativi. Tutto questo c’è, è stato studiato ed è una preoccupazione. Il fatto è che internet come struttura non ha nulla che renda tutto questo impossibile. Di fatto anzi con l’avanzare di internet nella società, la società esprime tutte le sue forme. C’è una cosa in più da dire rispetto a questo: le persone orientate alla convivenza pacifica possono aggregarsi online e possono isolare o rendere talmente trasparentemente negative le cose di chi non crede nella stessa possibilità di convivenza civile.

Internet è un meccanismo di per sé neutro rispetto ai valori di chi lo usa. E sono i valori di chi lo usa che devono sviluppare gli anticorpi necessari. Un secondo punto importante rispetto a quest’argomento è come la società deve regolare la relazione tra internet e l’insieme della società. Questa regolamentazione è un dibattito molto ampio, molto grande e credo che continuerà perché non c’è nulla di chiaro e di certo e di deciso a questo proposito. Quello che sappiamo e che non vogliamo una regolamentazione nel senso del controllo di ciò che si esprime online perché sarebbe una riduzione della libertà di espressione ma sicuramente occorre perlomeno regolamentare la trasparenza e la capacità delle persone di essere consapevoli del luogo nel quale sono e dello strumento che usano.

In definitiva internet è uno strumento, sono gli utenti che decidono come utilizzarlo, nel bene e nel male…

Esattamente. Quello che è importante è essere consapevoli che l’utilizzo di internet ha conseguenze in termini di informazione, di immagine, personalità pubblica o che si vuole rendere pubblica ecc… Può aiutare quindi migliorare tale consapevolezza del modo in cui internet funziona.

Nel suo libro lei parla degli eroi dell’epoca della conoscenza: chi sono i nuovi eroi e in quali personaggi contemporanei si identificano?

Ha citato prima Global Voices, il gruppo di Ethan Zuckerman ha sicuramente dei connotati di eroismo. è in qualche misura una figura retorica per sottolineare il valore delle persone, il senso di quello che fanno. Ha un connotato vagamente critico nel momento in cui solo l’eroe riesce a fare ciò che in realtà sarebbe bene che potessero fare tutti. Quando c’è bisogno di eroi vuol dire che c’è qualcosa che non va. Uno dei connotati dell’eroismo è certamente anche quello di essere contro alcuni schemi tradizionali come può per esempio il fatto che si facciano delle cose solo per il proprio vantaggio personale. Ethan Zuckerman che ha messo su Global Voices e non lo ha fatto per diventare ricco, lo ha fatto in funzione del servizio che lui credeva di poter dare al dialogo tra le culture attraverso internet. Ha dedicato il suo gruppo a costruire software, organizzazione e a trasmettere nel mondo il frutto di questo lavoro.

Evidentemente questo è in un certo senso eroico sia perché pone il problema del dialogo tra le culture in maniera molto aperta, orientata a regole di informazione molto precise, in un periodo in cui l’interpretazione generale era quella della guerra tra le civiltà. Un eroe in senso totalmente diverso, eroe nel senso della capacità di trasmettere la visione e di dimostrare che le idee possono cambiare il mondo è indubbiamente Steve Jobs, una biografia straordinaria. Questo valore di essere abbastanza pazzi da coltivare delle idee che vanno oltre il possibile, pensando in maniera diversa, mettendo insieme capitalismo, tecnologia, design. È certamente un eroe per molte persone.

Paradossalmente quindi questo periodo di trasformazione contribuisce maggiormente alla realizzazione di passioni e progetti che in altri tempi erano impensabili…

E’ un’epoca di opportunità. La parola chiave di internet è l’opportunità. È l’epoca delle opportunità che rende possibile ciò che in altre epoche non lo era.

La crisi attuale che significato assume in questo periodo di trasformazione vero la società della conoscenza?

Il libro è stato scritto dopo lo scoppio di grandi scandali finanziari: Parmalat in Italia e lo scandalo Enron negli USA. Entrambi gli scandali hanno dimostrato che il pensiero economicista era in realtà una finzione e non era il mercato reale. La domanda di automobili e di petrolio era più domanda finanziaria che reale. Con i mutui subprime si è poi verificato che il rischio venisse trasferito ad altri attraverso metodi poco trasparenti. I prezzi non corrispondevano alla domanda e all'offerta reale, ma alla domanda e all'offerta finanziaria Le conseguenze sono state molto significative sul prezzo del petrolio e sui costi delle materie prime. Quando il petrolio è arrivato a 140 dollari a barile, il mercato era fatto per il 90% di barili di carta e per il 10% di barili reali.

La domanda di titoli di carta legati al petrolio era tanto elevata da sostenere il prezzo del petrolio reale. Senza alcun rapporto con la domanda reale. Ora che la domanda di petrolio di carta è crollata, il prezzo del petrolio è crollato a 50 dollari al barile. Si è verificato in definitiva l’implosione della dinamica di un mercato finanziario. Tutto ciò si è trasformato in un senso di paura, di incertezza, ignoranza, il non sapere dove può arrivare la crisi. Questa crisi non è positiva ma può essere definita come un passaggio culturalmente positivo in quanto toglie ogni equivoco sulle enormi capacità del mercato e sulla possibilità di potersi affidare ad esso. Anche in un periodo di grande incertezza come questo possono emergere un forte orientamento innovativo, le passioni, i sogni, attraverso i quali cogliere l'opportunità di una vita qualitativamente migliore.

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