Non solo smartwatch. Anche i normali orologi sono finiti nel mirino delle autorità scolastiche. Il motivo? Troppo simili proprio alle controparti "intelligenti" che ormai hanno invaso il mercato e che permettono di accedere al web e nascondere in bella vista le informazioni da sbirciare durante gli esami. All'estero e in Italia, oltre a smartphone e smartwatch ora anche gli orologi non saranno accettati al polso degli studenti durante le sessioni d'esame. L'ultimo ateneo ad aver aderito a questa decisione è quello di Kyoto, che dal prossimo anno chiederà a tutti i ragazzi di consegnare ogni tipo di orologio.
Ciò che ha spinto verso questa decisione è proprio la somiglianza tra i due dispositivi: da un lato un innocuo orologio meccanico, dall'altra un dispositivo con il quale introdurre nell'esame potenzialmente qualsiasi tipo di informazione, anche le risposte complete del test. E così via ogni tipo di possibile distrazione o "bigino": anche in Italia – a Chieti, per esempio, ma anche a Pescara – gli orologi devono essere inseriti in alcuni sacchetti e consegnati ai docenti, che li restituiscono solo ad esame terminato. Lo stesso succede nel Nuovo Galles del Sud, in Australia, Cambridge, Oxford, Goldsmiths e nelle università degli Stati Uniti.
Il problema degli smartwatch risulta ancora più pressante rispetto a quello degli smartphone, già accusati di permettere agli studenti sotto esame di comunicare con il mondo esterno, pubblicando testi e ricevendo risposte in diretta. Proprio a Kyoto, per esempio, nel 2011 un ragazzo è stato arrestato perché trovato mentre pubblicava le domande di un test d'ammissione online, ovviamente con l'intento di ricevere le risposte corrette. Con gli smartwatch il problema risiede proprio nella difficoltà di individuare il dispositivo, che potrebbe mostrare testi o immagini senza che i docenti se ne accorgano.