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Amazon Web Services: il resoconto annuale tace su Wikileaks

Amazon pubblica il suo resoconto annuale preferendo tacere sulla questione della sospensione dei servizi ai danni di Wikileaks.
A cura di Anna Coluccino
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Lo scorso 28 dicembre, anche Amazon ha tirato le somme di un anno di lavoro così come, prima di lei, avevano fatto altre grandi aziende come Google, con il suo Zeitgeist 2010, o il social network di Zuckerberg, con Facebook Memology. E se, da un lato, il resoconto appare piuttosto dettagliato, dall'altro rileviamo una dimenticanza enorme; una mancanza che non può certo essere frutto di disattenzione, ma di un preciso disegno di marketing. All'interno del resoconto annuale Amazon Web Services -infatti- non esiste alcun riferimento, seppur minimo, alla vicenda che più di tutte ha portato il nome di Amazon ai disonori della cronaca: il ritiro del sostegno a Wikileaks.

La scelta di non fare alcun riferimento alla spinosa questione che lega il colosso del commercio online alle vicende del sito di Julian Assange è, evidentemente, politica ed aggrava ancor di più la posizione di Amazon che, omettendo il passaggio su Wikileaks, dimostra di vergognarsi delle sue azioni. I clienti del sito statunitense, infatti, non hanno grandemente apprezzato il gesto della compagnia, anche perché è avvenuto solo in seguito al rilascio degli ultimi cables che tanto hanno fatto innervosire la diplomazia USA. La reazione di Amazon, quindi, sembra quella di un servitore che si allinea, improvvisamente, ai dictat patronali, e non una decisione autonoma, maturata in assoluta indipendenza. Tanto che, subito dopo le dichiarazioni del sito di commercio online, il portavoce del "padrone", il senatore Joe Lieberman, ha lanciato un biscotto all'ubbidiente cagnolino dicendo: "la decisione di Amazon è buona e dovrebbe costituire un riferimento per le altre imprese che WikiLeaks utilizza per diffondere illegalmente le sue informazioni".  La reazione di Assange a tutto questo è stata piuttosto tagliente e può essere riassunta nella dichiarazione rilasciata dall'attivista australiano qualche ora dopo la pubblicazione del comunicato stampa di Amazon: "Se Amazon è così a disagio con il Primo Emendamento dovrebbero uscire dal mercato della vendita dei libri".

Ora, noi ci rendiamo conto che non sia semplice per una compagnia statunitense opporsi apertamente ai "sentiti consigli" del governo del suo paese, ma se il paese in questione è lo stesso che suole erigersi a baluardo della libertà di mercato e di informazione, nonché a simbolo dell'indipendenza e dell'autonomia delle aziende che operano sul suo territorio, poi ci chiediamo come mai non ci possa appellare a queste sedicenti libertà per prendere decisioni che siano in controtendenza con i desideri dell'amministrazione statunitense.

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