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Apple tace sulla malattia di Jobs: strategia del segreto o rispetto della privacy?

Gli azionisti Apple hanno diritto a sapere di più sulle condizioni di salute di Steve Jobs o è la compagnia di Cupertino, e Jobs in particolare, ad aver diritto ai suoi segreti?
A cura di Anna Coluccino
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steve jobs

Al di là delle oscillazioni del mercato che hanno fatto seguito all'annuncio del momentaneo ritiro di Steve Jobs per malattia, e al di là di ogni valutazione sul futuro economico e finanziario di Apple, la preoccupazione per lo stato di salute del tycoon della compagnia di Cupertino è sincera e palpabile. E se, da un lato, questo sentimento di viva costernazione unisce tutti, dividono le considerazioni in merito al "diritto" di Apple di tenere segrete le informazioni sulle reali condizioni del suo CEO. Sono in molti, infatti, a sostenere che Cupertino avrebbe il dovere di essere più specifica in merito alla situazione, altri sottolineano come il rispetto della privacy di Jobs, che lui stesso ha pregato di mantenere, sia, in casi come questo, un diritto sacrosanto e inalienabile, anche se in gioco ci sono gli investimenti di migliaia di persone.

Il dibattito sta accendendo i cuori di moltissimi statunitensi e non, tanto da spingere l'Huffington Post a proporre una sintesi delle molteplici posizioni, illustrando le ragioni di tutti gli schieramenti, quasi come se lo stato di salute di Steve Jobs fosse qualcosa di cui si può "discutere", che si può "argomentare", qualcosa che assume un rilievo internazionale e che può prestarsi a molteplici interpretazioni. Che il fondatore di Apple sia malato, del resto, lo sappiamo da diversi anni, ed è già la terza volta che si allontana (volontariamente) dalla sua amata creatura per prendersi cura di sé: è davvero necessario conoscere i particolari di questa nuova ricaduta e, soprattutto, Cupertino potrebbe essere legalmente obbligata a fornirli?

Stando all'opinione di esperti in materia legale, Apple non è tenuta a dire nulla di più rispetto a ciò che ha già detto. Il pomo della discordia, però, riguarda la norma secondo cui la SEC (la Consob statunitense) sarebbe tenuta ad essere aggiornata su "ogni possibile informazione che potrebbe influenzare le decisioni degli investitori circa l'acquisto o la vendita di azioni". Ora, stando alle opinioni di alcuni azionisti, essendo Jobs la forza creativa dell'intera compagnia, le informazioni riguardanti un suo possibile, perpetuo impedimento dovrebbero essere pubbliche. Eppure, nell'elenco dei doveri informativi delle compagnie quotate in borsa non appare in nessuna forma l'obbligo di relazionare in maniera particolareggiata sullo stato di salute del CEO, tutto ciò che una compagnia quotata è tenuta a riferire in merito al suo amministratore delegato riguarda i casi di assenza, morte o ritiro, ma non è tenuta ad ulteriori specificazioni in merito. Ecco perché Apple è stata costretta a rendere conto dell'assenza di Jobs, ma non per questo può essere obbligata a descrivere la situazione nel dettaglio.

Jeffrey Sonnenfeld, professore della Yale School of Management, ha affermato che, a differenza delle altre volte, Apple "non sta dicendo nulla di più del minimo a cui è costretta per legge". Mentre nel 2009 ci furono diverse voci in merito ad un possibile ritiro di Jobs e, addirittura, la compagnia dichiarò, mentendo, che la perdita di peso del CEO era attribuibile ad uno squilibrio ormonale, stavolta ci si astiene da ogni genere di dichiarazione superflua. Del resto, si potrebbe sostenere che gli investitori erano consci della situazione quando, a partire dal 2004, hanno acquistato le azioni Apple. Steve Jobs, infatti, aveva un ormai conclamato cancro al pancreas e chi ha investito nella sua compagnia non può non aver tenuto conto dei rischi. D'altro canto, è pur vero che molti azionisti sono soci da prima del 2004,  ma hanno comunque deciso di non vendere per tutti questi anni. Secondo Frank Bulter, professore presso la University of Tennessee e co-autore del pamphlet accademico quanto mai attuale "When the CEO is Ill, Keeping Quiet or Going Public" la Apple farebbe bene ad essere sincera con i suoi azionisti. In questo modo, infatti,  eviterebbe il ribollire dell'incertezza che poi, quasi sempre, si tramuta in panico.

Alla fine della fiera, però, su tutte queste considerazioni aleggia un quesito inevaso: che ne è del diritto alla privacy di un CEO? E' davvero costretto a raccontare a tutti della sua malattia e, nel peggiore degli scenari, condividere con il mondo i suoi timori di morte? Forse, trattandosi di una materia così delicata, sarebbe bene lasciare l'ultima parola alla volontà del singolo e, in questo caso, Jobs è stato fin troppo chiaro nella chiosa della lettera destinata al suo team: "la mia famiglia ed io apprezzeremmo il rispetto della nostra privacy". Al di là delle valutazioni economico-finanziarie, siamo proprio sicuri di non voler esaudire la sua richiesta?

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