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Opinioni

C’è vita per Apple dopo Jobs?

Che genere di lavoro attende Tim Cook dopo la scomparsa di Steve Jobs? Riuscirà a tenere “alto” l’appeal dell’azienda di Cupertino?
A cura di Luca Spoldi
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Steve Jobs

Steve “stay hungry, stay foolish”Jobs si è arreso al cancro che aveva a lungo combattuto con un’alternanza di alti e bassi durata quasi otto anni (il che “tecnicamente” dovrebbe far considerare l’ex cofondatore di Apple un “sopravvissuto” alla malattia, visto che meno del 4% dei pazienti affetti come lui da un tumore al pancreas è ancora in vita a cinque anni dalla diagnosi, termine che per la statistica medica discrimina tra i casi di guarigione e quelli di decesso a causa della malattia).

Più che l’impatto immediato della notizia (in qualche modo anticipata dalla decisione dello scorso agosto di fare un “passo indietro” lasciando la carica di Ceo a Tim Cook, prendendo congedo “per malattia”) l’importante, su questo sembrano concordare tutti gli analisti, sarà capire se e quanto Apple potrà restare così innovativa e rivoluzionaria (ma anche commercialmente vincente) come lo è stato in questi ultimi decenni sotto la guida del suo mentore.

Al riguardo il britannico Times ha già avanzato l’ipotesi che Jobs abbia fatto in tempo a passare le consegne, affidando ai suoi più stretti collaboratori nuovi progetti e idee, in parte già in fase di prototipo in parte ancora sulla carta, per circa quattro anni di tempo. Saranno sufficienti a Cook, ingegnere con esperienze in Ibm e Compaq approdato alla casa della mela nel 1998 e distintosi per la capacità di tagliare i costi più che per la propria creatività, per trasformarsi in un cigno, o almeno selezionare il “nuovo Jobs”?

Messa in questi termini la risposta non può che essere negativa, essendo per chiunque troppo impari il confronto con un innovatore come Jobs che già ora sta diventando un’icona come un novello Leonardo da Vinci del ventesimo secolo. In realtà per Apple il futuro è più che mai un’incognita, anche se nell’immediato poco o nulla cambierà.

La società è del resto abituata ai cambi di pelle: nata come azienda produttrice di personal computer in grado di rivoluzionare il concetto stesso di elaboratore elettronico e di sistema operativo (il Mac è stato il primo pc con capacità calligrafiche ricordò lo stesso Jobs, mentre il suo sistema operativo è stato il primo ad essere così “user friendly” da divenire uno standard, subito imitato da Microsoft), l’azienda, caduta in crisi dopo la cacciata di Jobs (andato a creare Next e ad occuparsi di Pixar), venne rivitalizzata dal ritorno del suo fondatore.

Jobs ne rinnovò le linee di pc, puntando sui portatili quando ancora i principali competitor erano impegnati a progettare desktop e accentuandone l'impatto estetico, e la trasformò gradualmente in un produttore di elettronica da consumo grazie a dispositivi come l’iPod (che rivitalizzò secondo molti il moribondo settore della discografia mondiale), l’iPhone (che ridiede nuova linfa al settore della telefonia mobile) e l’ultimo nato, l’iPad (a cui viene tributato il merito di aver dato una nuova prospettiva all’editoria). Se si pensa che “nel frattempo” Apple lanciava iTunes e dimostrava che il commercio elettronico poteva essere un business di successo anche se non si era Amazon.com e abbracciava la filosofia del “cloud”, ultimo tassello di una concezione della gestione delle informazioni e delle comunicazioni “always on”, è evidente che sarà difficile per chiunque mantenere questo ritmo di successi. In ultima analisi tutto ciò che vive su questo mondo è destinato a morire e la morte, sono parole di Jobs, è in fondo la migliore invenzione della vita dato che spazza via ciò che nel frattempo da giovane e innovativo è diventato vecchio e conservatore. Ridando spazio all’innovazione.

Una lezione dalla stupefacente semplicità se ci pensate, ma che in Italia suona rivoluzionaria e forse vagamente sacrilega. I mercati nel loro complesso sono sempre stati d’accordo con questa concezione e si incaricheranno come sempre di mantenere in vita i soggetti (economici ma anche tecnologici) più sani e innovativi, facendo fallire i più deboli, vecchi o retrogradi. Almeno là dove verrà data loro la possibilità di farlo visto che la crisi sta portando molti a considerare auspicabile forme di intervento per “limitare i danni” e sostenere (indefinitamente o solo fino a che saranno esaurite completamente le risorse) aziende, banche, intermediari e loro referenti politici e sociali anche se figli di un mondo che ormai non è più quello che ne ha decretato il successo.

Per il bene nostro e dei nostri capitali dovremmo sperare che sia lasciato spazio all’evoluzione, con la morte, gradualmente, dei vecchi “burosauri” pubblici e privati del secolo scorso e la nascita di nuovi soggetti in grado di rimpiazzarli efficientemente e di apportare ancora maggiori benefici, possibilmente non solo a una ristretta cerchia di investitori. Ma questo non è un tema che possa riguardare una singola azienda, per quanto grande e innovativa possa essere come Apple. Per cui il consiglio è: tenete d’occhio le novità della mela (magari a partire dal nuovo iPhone5, il cui rinvio al 2012 o forse al 2013 rischia di lasciare ampio spazio alla crescita dei dispositivi basati su Android, a beneficio di Google) e state pronti, nel caso non vi soddisfino appieno, a cambiare scommessa. Senza fretta, perché l’evoluzione ha i suoi tempi anche in borsa, ma senza troppo confidare nelle “eredità” degli uomini né in quelle dei loro miti.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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