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Hillary Clinton e la rete: un anno fa condannava la Cina, ora la comprende

Alla George Washington University, Hillary Clinton continua a difendere la libertà della rete. Eppure gli USA hanno affossato WikiLeaks e perseguitato Assange e Bradley Manning. Dov’era la libertà delle rete allora?
A cura di Anna Coluccino
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Hillary Clinton e la rete

Che Internet fosse una sorta di agorà cybernetica era chiaro ormai da tempo, ed era anche facilmente prevedibile che, prima o poi, sarebbe diventato lo strumento prediletto delle popolazioni che subiscono violenze etiche, fisiche e politiche da parte dei loro governanti. Appena un anno fa, il Segretario di Stato degli USA tuonava contro la Cina, colpevole non solo di censurare la rete e di costringere Google ad accettare i paletti del governo, ma anche di aver hackerato le caselle Gmail di alcuni oppositori politici al fine di frenare le azioni di rappresaglia informatica. Al tempo, Hillary Clinton ebbe parole dure, sdegnate, infarcite della classica retorica libertaria statunitense. Una retorica che non sempre trova effettivo riscontro nella pratica politica degli States: «chi ostacola il libero flusso di informazioni rappresenta una minaccia» ebbe a dire la Clinton lo scorso gennaio 2010, e ancora: «gli Stati Uniti si battono per un’unica rete in cui tutti abbiano eguale accesso alla conoscenza».

Sarà, ma dopo poco più di un anno, la dura condanna al "censore cinese" non sembra più così assoluta, almeno non nella pratica. Cominciano a far capolino i "ma" i "però" gli "anche se", e ciò di cui ci si riempie la bocca al momento dei comizi non trova effettivo riscontro nella pratica politica e governativa. Non c'è alcun rapporto tra parola e azione. Ancora oggi, Hillary Clinton parla in difesa della rete e del libero flusso di informazioni, asserendo addirittura che: «una rete libera promuove la pace al lungo termine, il progresso e la prosperità». Che fine ha fatto il sito di WikiLeaks allora? Perché fare pressioni su imprese private del Nord America perché tagliassero i fondi al sito di Assange? Dove finiscono tutte queste belle chiacchiere quando molti i politici statunitensi chiedono la pena di morte per Julian? «Una rete chiusa e frammentata, in cui vari governi intervengono per bloccarne le attività o cambiarne le regole – dove le parole vengono censurate o punite, e la privacy non esiste – questa è una rete che può devastare tutte le opportunità di pace e di progresso, nonché scoraggiare l'innovazione e l'iniziativa imprenditoriale». Queste le parole pronunciate ieri presso la George Washington University dal segretario di stato USA. Ma non una parola è stata spesa sull'intervento del governo statunitense ai danni di WikiLeaks. Nessuna abbozzo di motivazione. Meglio far finta di niente.

La difesa della rete e della sua libertà è stata incanalata sul triste binario della doppia morale: per la serie la rete è libera finché non diffonde informazioni che volevamo tenere nascoste, in tal caso, ben venga la censura, la chiusura di siti colpevoli di "attentare alla stabilità dello stato", l'invasione della privacy dei giornalisti e delle loro fonti. Si arriva addirittura a fare pressioni perché i protagonisti della fuga di notizie vengano arrestati, giudicati ed espatriati sulla base di capi d'accusa ridicoli come quello di non aver utilizzato il preservativo in un rapporto consenziente ed essersi, poi, rifiutati di fare il test dell'AIDS. Ora, se un "reato" del genere viene perseguito con un mandato di cattura internazionale e un processo per direttissima… Cosa farebbero, gli statunitensi, a Silvio Berlusconi? E, soprattutto, perché non si esprimono chiaramente in materia? Non ce l'hanno un'opinione anche si questo? O sarà che, quando si tratta di governi amici, la loro morale diventa elastica fino a dissolversi?

È incredibile notare come la condanna alla Cina sia stata immediata dopo i fatti del 2010, ma non una parola venne spesa, al tempo, sulle pratiche censorie dell'Egitto di Mubarak, e mentre l'appoggio ai rivoluzionati iraniani è stato immediato, entusiasta e senza contraddizioni, quello ai rivoltosi del Cairo è arrivato debole, smozzicato, e solo quando era ormai impossibile sostenere il "tiranno" è arrivata una condanna piena. Israele attacca in maniera violenta e pretestuosa la Palestina? Gli Usa si limitano ad un lieve richiamo formale, l'equivalente di una tiratina d'orecchi, la Libia abbandona i clandestini diretti in Italia nel deserto e li lascia lì a morire di caldo, fame e stenti? Silenzio.

Se gli USA intendono davvero riguadagnare stima e credibilità internazionale è ora che la smettano con la politica della doppia morale; cominciando da Internet e dalla censura della rete. Gli USA dicono di essere la "nazione delle libertà". Forse è il caso di cominciare a lavorare perché questa libertà non abbia sempre due facce.

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