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Il successo di Charli D’Amelio dimostra che TikTok ha un problema con i neri

Il traguardo raggiunto da Charli D’Amelio su TikTok nasconde uno dei lati più controversi della piattaforma, che pur parlando di inclusività e diversità dei suoi creator fatica a mettere in risalto i contenuti pubblicati dalla comunità nera e dalle altre minoranze. Così il volto della piattaforma resta quello bianco cisgender. Come Charli.
A cura di Marco Paretti
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Il rapporto tra TikTok e Charli D'Amelio è più problematico di quello che sembra. Da un lato la giovane star che in un anno ha raggiunto i 100 milioni di follower è semplicemente una ragazza di 16 anni con un forte background nella danza. Dall'altro è la rappresentazione materiale dell'anima della piattaforma: una ragazza bianca cisgender. E questo per TikTok è un problema. Lo è per l'impegno nella promozione della diversità che più volte si è affacciato nelle sue comunicazioni ufficiali, ma che nel concreto non ha portato a un reale cambiamento. Di fatto, gli influencer più grandi dell'app appartengono allo "straight TikTok" o al "white TikTok". Omosessuali e neri sono rappresentati da grandi nicchie che però faticano ad essere valorizzate all'interno della piattaforma.

Non è un problema che coinvolge esclusivamente TikTok, sia chiaro, ma il problema del social cinese è che il discorso sulla diversità è sempre stato un elemento di punta per la piattaforma, che però è stata anche accusata di promuovere più i contenuti bianchi rispetto a quelli neri. Se si guarda la classifica dei creator più seguiti su TikTok, dopo Charli non troviamo neri fino alla decima posizione, che è comunque occupata da Will Smith, non propriamente paragonabile a un normale influencer. Fatta esclusione di Jason Derulo e The Rock (anch'essi non nativi della piattaforma), nei primi 20 posti dei tiktoker più seguiti non esistono neri.

Gli utenti più seguiti su TikTok
Gli utenti più seguiti su TikTok

È una situazione molto particolare che inevitabilmente si riflette nel riconoscimento di determinate paternità all'interno della piattaforma. Basti pensare alla Renegade, uno dei balli più popolari dell'app creato da una ragazza nera, Jalaiah Harmon, ma reso popolare da Charli D'Amelio, che per molti è anche l'autrice della coreografia. Questo approccio è diffuso su tutta la piattaforma e spesso porta alla diffusione di elementi realizzati dalla comunità nera o LGBT per mano della bolla bianca di TikTok, che poi si prende (anche involontariamente) lo spazio di primo piano di quel determinato aspetto, che può essere una danza o un trend. "I bianchi si prendono molto spesso crediti di cose create da creator neri" racconta a Fanpage.it Loretta Grace, cantante, attrice e influencer nera da sempre attiva nel supporto della comunità black. "I creatori neri vengono già penalizzati dalla piattaforma quindi se un tiktoker non nero vuole celebrare un trend o qualcosa che appartiene o è stato ideato dalla comunità nera sarebbe opportuno creditare il creator originale e fare call to action affinché gli utenti possano apprezzare o seguire il tiktoker in questione".

È il "Digital Blackface", l'evoluzione digitale di un fenomeno tristemente noto nell'industria dell'intrattenimento che su TikTok ha preso contorni ancora più complessi e sfaccettati, dato che la cultura nera è di fatto quella che genera più engagement sulla piattaforma. Un elemento che ha creato un cortocircuito imprevedibile: se da un lato TikTok si fonda su elementi della cultura nera (pensate ai brani virali di Lil Nas X, Megan Thee Stallion, Drake, Cardi B e Doja Cat), dall'altro i principali creator associati a questi contenuti sono bianchi. Esempio: Say So, la popolare canzone di Doja Cat, è stata utilizzata in 17,8 milioni di video. Se si apre la pagina del brano e si osservano i contenuti con più visualizzazioni, i primi sono tutti creator bianchi capitanati da Charli. Solo al 12esimo posto troviamo un ragazzo nero (@Treclements) e al 17esimo una ragazza nera (@Skaijackson). Poi un fiume bianco fino a diverse decine di video più in basso.

Questo approccio coinvolge tutta una serie di contenuti audio condivisi sulla piattaforma, dove la riproduzione caricaturale e stereotipata di un determinato tipo di conversazioni appartenenti alla cultura nera viene molto spesso prodotta e pubblicata da creator bianchi. "I'm in the ghetto, ratatata" e altri audio simili sono diventati estremamente popolari nella comunità bianca ed etero di TikTok, che ormai non si fa problemi ad appropriarsi di questi contenuti. Ma il razzismo (quello esplicito) non è l'unico obiettivo di questi post. Quello che i creator bianchi desiderano è quello che la maggior parte dei tiktoker desidera: visualizzazioni, viralità e follower. Elementi che spesso vengono associati alla cultura nera e di conseguenza sfruttati dall'intera piattaforma senza riconoscimenti o rispetto.

Le linee guida di TikTok parlano di "ispirare la creatività e portare gioia", ma per la comunità nera della piattaforma non sempre è così. Anzi, spesso la sua voce viene inspiegabilmente ammutolita. Come è successo a Brianna Blackmon, una musicista della Carolina del Sud che lo scorso maggio ha pubblicato un brano ispirato alle proteste della comunità nera contro la censura di TikTok. "I creator neri di questa app ne hanno avuto abbastanza" rappa nel video. "Quindi cambiamo le nostre immagini del profilo, alziamo i pugni al cielo e diciamo cosa sta succedendo". Il post diventa virale, ma il giorno dopo la piattaforma gli silenzia l'audio. TikTok non spiega il motivo del blocco: non sono presenti insulti, volgarità o messaggi d'odio. "Non succede solo a me" spiega Blackmon. "Stanno colpendo una certa tipologia di creator". Storie di questo tipo hanno coinvolto decine di utenti neri sulla piattaforma sotto forma di audio mutati, molestie o razzismo. Con scarse prese di posizione da parte della piattaforma.

"YouTube su questo è più sensibile" racconta Loretta. "L'anno scorso mi hanno mandato in America per YouTube Black, un'iniziativa dedicata ai creator neri, quelli più colpiti su tutte le piattaforme. YouTube ha creato questo spazio sicuro dove si può parlare e organizzare attività. L'anno scorso lì sono guarita, quando dovevo andare via mi sono messa a piangere perché sapevo di dover tornare alla realtà. Due giorni dopo, mentre camminavo a Milano, una signora ha iniziato a dire ‘tutti questi n*gri di merda', questo è stato il mio rientro in Italia".

 

Solo nei casi più evidenti c'è stata un'effettiva risposta da parte di TikTok: durante le proteste in seguito all'uccisione di George Floyd, gli hashtag #BlackLivesMatter e #GeorgeFlyod sono stati inspiegabilmente oscurati dall'app. "Riconosciamo e ci scusiamo con la comunità nera se si è sentita in pericolo, non supportata od oppressa" ha scritto il general manager dell'azienda negli USA Vanessa Pappas, definendo un "glitch tecnico" quello che ha portato all'oscuramento dei video legati a quegli hashtag. Ma con così tanti casi segnalati, com'è possibile che i glitch tecnici colpiscano prevalentemente le minoranze? "Ci sono tanti video di tiktoker neri che dicono che i neri vengono bannati dalla piattaforma" spiega Loretta. "Tanti contenuti che i neri propongono non vengono spinti dalla piattaforma tanto quanto i contenuti dei creator caucasici. A me vengono sempre consigliati tiktoker come Luciano Spinelli ed Elisa Maino, io devo insegnare all'algoritmo che voglio vedere cose più variegate, più multietniche. Piano piano sto cercando di fare training all'algoritmo: quando trovo un tiktok di un creator nero metto like, salvo il post, commento. Piano piano dopo mesi l'algoritmo ha iniziato a propormi più creator neri".

La particolare situazione della comunità nera coinvolge anche l'Italia, dove i casi di riconoscimento dei black creator sono inspiegabilmente pochi. Un esempio: nel nostro paese TikTok invia a intervalli regolari una newsletter chiamata "Good Vibes News" dove vengono indicati alcuni degli utenti di primo piano legati a determinati argomenti. Dalla sua nascita a oggi non è mai stato proposto un link a un creator nero. Mai, nemmeno nella sezione dedicata agli account stranieri. Lo stesso vale per la sezione "account suggeriti" presente, per esempio, sul sito della piattaforma. Questa sezione in evidenza riporta solamente creator con il badge verificato e bianchi. Le uniche eccezioni non sono realmente eccezioni: Mahmood, per dire, è italo-egiziano, così come Ghali è italo-tunisino. Entrambi sono chiari. "Dagli italiani sono percepiti come bianchi, agli italiani vanno bene Ghali e Mahmood perché sono chiari, possono essere scambiati per due persone che vengono dalla Sicilia" spiega Loretta. "E infatti quando è venuto fuori che Mahmood aveva il padre egiziano è successo un macello. Quindi se non avessero saputo delle origini Mahmood gli sarebbe andato bene, c'è un enorme problema di base".

Una condizione che poi si riflette appunto sui badge di verifica: in Italia i neri verificati sono praticamente inesistenti. Come scrivevamo un anno fa, la spunta rappresenta anche un elemento di riconoscimento e visibilità, che nel caso delle minoranze diventa anche un importante segnale di supporto. "In Italia non ci sono tiktoker neri verificati" continua Loretta. "Questa cosa è grave perché esistono tiktoker neri che hanno oltre 500.000 follower ma non hanno la spunta. Perché non vengono verificati e gli altri sì? Io stessa ho tutte le credenziali per essere verificata con articoli di giornale su di me, libri scritti, spettacoli teatrali, ho lavorato per una produzione (il musical Sister Act) dove Whoopi Goldberg era co-produttrice ma non ho il verificato. Questa cosa succede anche su Twitter". Questo impatta anche sul coinvolgimento che la piattaforma propone agli influencer nelle diverse iniziative che, soprattutto negli ultimi mesi, hanno caratterizzato TikTok con dirette e challenge. La comunità nera? Non pervenuta, per lo meno in Italia.

 

È un enorme problema imputabile (a non voler pensare male) a una svista. Inaccettabile, sia chiaro, e probabilmente dovuta a un altro problema che affligge aziende e realtà tecnologiche: la scarsa presenza di diversità tra i dipendenti. Non stupisce, d'altronde, che le iniziative legate alla comunità nera siano molto più intense nel Regno Unito, dove, oltre ad avere la sede europea, il social ha proposto più attività relative alla black community. Nel paese inglese il tasso di occupazione in ruoli professionali dei neri si assesta intorno al 21 percento, mentre in Italia i lavori qualificati svolti da stranieri (quindi la totalità delle minoranze e non solo i neri) rappresentano mediamente il 5 percento del totale. E infatti iniziative come l'impegno nell'assumere più neri, la attività del Black History Month e il trend #myroots coinvolgono la comunità inglese della piattaforma. Nel resto del social le iniziative sono locali e si rifanno all'impegno generale di TikTok: "Per noi è una cosa importante. Siamo orgogliosi della comunità diversificata e speriamo di nutrirla ulteriormente. Sappiamo che è qualcosa su cui dobbiamo lavorare continuamente e siamo impegnati al 100% nel farlo". Resta comunque un approccio frammentato che non ha per il momento risolto completamente i casi di "censura" né la situazione di visibilità ridotta delle minoranze. Poco importa, in questo panorama, se poi i singoli utenti provano a spingere attività di valorizzazione come quella fatta dalle Gallerie degli Uffizi: gli account in quella lista di creator suggeriti restano bianchi.

Per tutti questi motivi la notizia dei 100 milioni di follower di Charli è un grosso problema per TikTok. Lo è, soprattutto, per i discorsi sulla volontà di celebrare la diversità che poi si scontrano contro i dati effettivi: gli utenti di spicco sono bianchi, i contenuti virali sono governati dai bianchi e gli account spinti dalla piattaforma sono bianchi. Un panorama facile da ignorare, dato che scorrendo tra i post non è raro trovare contenuti appartenenti alle minoranze. Certo bisogna vedere quanti di questi contenuti escono dalla bolla algoritmica delle stesse minoranze, perché i numeri assoluti raccontano un'altra storia. È anche facile giustificare la disparità dicendo che sono gli utenti ad apprezzare più contenuti bianchi (portando quindi a un aumento dei numeri), ma anche questa è una falsa percezione: ci sono semplicemente più spettatori bianchi, altrimenti non staremmo parlando di minoranze. È proprio per questo che la piattaforma deve capire come dare più spazio alle voci più basse. TikTok è una comunità ancora relativamente giovane che ha quindi tempo per tarare nuovamente la sua direzione. Ma deve farlo, altrimenti diventerà solo un altro social dove il bianco è l'unico colore rilevante.

Di seguito una lista di creator neri fornita da TikTok Italia e integrata da Fanpage.it:

Bibi Enrica Kupe – Ostetrica italiana in Australia
Evelyne Sukali – Infermiera, Inclusion
Tabitha – Cultura Congolese, Tematiche inclusion e mamma
Murielle Demanou – Tematiche inclusion, lifestyle
Selena – Tematiche inclusion
Maty Diouf – Comedy, lifestyle
Elisa ThiamLifestyle
Rahel Oggio – Lifestyle
Tasnim Ali – Cultura musulmana, inclusion e lifestyle
Sonny Singh – Comedy, Lifestyle
MomoComedy, Inclusion
Jennifer Erhabor – Infermiera, lifestyle
Aida Diouf – Cultura musulmana, comedy
Raffaele Buffoni – Comedy
Isabo – Comedy
Haydèe Montejo – Comedy
Khabane Lame– Comedy
Cecilia – Comedy
Kenny Apanisile – Lavoro, psicologia

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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