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Il Tribunale di Roma blocca Mega e altri 23 siti di cloud storage e file hosting

Si tratta del secondo sequestro più grande nella storia del web italiano, ma Kim Dotcom non ci sta: “Crediamo che il blocco adottato dal procuratore italiano sia illegale”.
A cura di Dario Caliendo
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Sempre più forte il pugno di ferro con il quale gli organi istituzionali italiani tentano di combattere il fenomeno della pirateria online. E di nuovo il turno del Giudice del Tribunale di Roma Costantino De Robbio, che ha ordinato a tutti gli internet service provider del Bel Paese di limitare l'accesso a ventiquattro siti web, tra cui il discussissimo Mega.co.nz, nato a seguito delle vicende giudiziarie di Megaupload. Assieme alla piattaforma di Kim Dotcom sarà a breve irraggiungibile anche il provider di email russo Mail.ru, di proprietà dell'’Oligarca Russo Alisher Usmanov, uno degli uomini più ricchi del pianeta, molto vicino al Presidente Vladimir Putin, e la figura più importante nell'operazione relativa all'acquisizione delle quote di VKontakte, il social network più diffuso in Russia. Bloccati anche NowDownload, NowVideo e Firedrive (il nuovo Putlocker): insomma la stragrande maggioranza dei file hosting russi.

Si tratta di una misura anti pirateria importantissima (soprattutto considerando i servizi coinvolti), sproporzionata e – come spesso accade – poco efficace, nata a seguito di una segnalazione fatta da Eyemoon Pictures, un distributore cinematografico italiano del tutto indipendente, che ha segnalato al Tribunale di Roma la diffusione illegale dei film “The Congress” e “Fruitvale Station”, ben prima del rilascio ufficiale nelle sale italiane.

"Crediamo che il blocco adottato dal procuratore italiano sia illegale. L’ordine di blocco è stato posto sulla base di una denuncia di un piccolo distributore, per due film; il provvedimento è ovviamente fuori misura” – ha commentato Kim Dotcom – "Mega sta prendendo provvedimenti per garantire che i nostri clienti italiani possano riguadagnare l’accesso ai propri file senza prima dover armeggiare con le impostazioni DNS, presentando un ricorso la prossima settimana”.

Con questo provvedimento, il secondo nella storia del web italiano per ordine di grandezza (il primo risale allo scorso marzo, ma si è rivelato – ancora una volta – inutile), si mettono in evidenza le evidenti mancanze relative non solo al nuovo Regolamento sul diritto d'autore entrato in vigore per mano dell'AGCOM lo scorso 31 marzo (che su 108 segnalazioni ha inibito solo 5 siti web realmente dediti alla pirateria), ma anche le debolezze delle attuali tecniche di inibizione utilizzate per bloccare i siti web, bypassabili con una semplice modifica dei DNS. Partendo dal presupposto che il sequestro fisico dei server sui quali sono installate le piattaforme pirata è praticamente impossibile, perché generalmente sono situati in paesi esterni all’Unione Europea (principalmente asiatici), tecnicamente le modalità di blocco dei domini in questione sono sostanzialmente due: la prima, molto efficace e difficilmente bypassabile, prevede il blocco totale dell’IP che contiene il sito incriminato, mentre una seconda prevede il blocco del dominio via DNS.

Il problema principale relativo al blocco dell’IP è la natura stessa delle attuali architetture di rete, strutturate in modo da non riservare un indirizzo IP univocamente ad ogni sito, ma da contenere sotto un unico IP diversi siti non necessariamente collegati tra loro. In sostanza, questa tecnica provocherebbe l’impossibilità di accedere anche a centinaia di piattaforme del tutto esterne alla faccenda.

E’ palese che impedire agli utenti l’accesso a siti non soggetti ad alcun ordine di sequestro è una cosa gravissima. Gli organi istituzionali si trovano quindi nella condizione di dover richiedere l’intervento dei vari Internet Provider italiani, che potrebbero agire esclusivamente bloccando i domini delle piattaforme tramite i DNS, rendendo facilmente aggirabile il blocco con una semplice modifica delle impostazioni relative alla propria connessione: è un’operazione che va fatta una sola volta, molto conosciuta dalla tipologia di utenza che accede giornalmente a queste categorie di piattaforme web, ed utilizzata già da tempo sfruttando generalmente i Domain Name System forniti pubblicamente da Google (8.8.8.8 e 8.8.4.4).

Molto probabilmente inoltre, molti dei siti sottoposti al sequestro modificheranno repentinamente l’estensione del proprio dominioraggirando – ancora una volta – il provvedimento.

Insomma, che sia chiaro il messaggio partito dal Tribunale di Roma e diretto a tutti i proprietari di piattaforme illegali (questo l’elenco di tutti i siti coinvolti) è un dato di fatto. Ma per combattere davvero la pirateria online sarebbe necessario un totale cambio di rotta perché, nella maggioranza dei casi, non può venire contestato il reato di ricettazione che, nell’ultimo anno, ha rappresentato il cuore di alcuni provvedimenti di sequestro preventivo attinente a violazioni del copyright.

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