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Paolo Ainio, CEO di Banzai, contro i brand: “ciechi alle leggi del mercato (digitale)”

“La contraffazione è un crimine perseguito da due tipi di criminali: i contraffattori e i cittadini disonesti”. Contro quest’idea vetusta e inutile si scaglia Paolo Ainio, chiedendo più analisi, lungimiranza e capacità critica.
A cura di Anna Coluccino
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paolo ainio contro i brand

Qualche giorno fa abbiamo parlato di come l'Europa meridionale, con Italia, Spagna e Grecia in testa, si distinguesse per l'arretratezza in materia di Digital Economy.

Ecco, stando a quando osservato da Paolo Ainio all'assemblea di Indicam, l'Istituto di CentroMarca per la lotta alla contraffazione, le cose stanno esattamente così. E non solo per l'incapacità politica dei governanti di riconoscere il potenziale del web in quanto veicolo di crescita economica ma anche -e forse soprattutto- per via di quella che luistesso chiama cecità dei brand rispetto alle leggi del mercato. D'altronde, se in Italia esistesse un bisogno -da parte dei cittadini- pulsante e urlato di colmare il digital divide e di investire in economia digitale, anche il governo più sordo sarebbe costretto -quanto meno- a giustificare il perdurante ritardo e l'ostinata incuria verso questo particolare aspetto del progresso nazionale e, invece, 800 milioni da moltissimo tempo destinanti alla banda larga sfumano -di nuovo- e nessuno dice niente. Altre nazioni puntano sul Web come su di un possibile fattore anticrisi, e vincono la scommessa (anche se certo non la guerra…). E l'Italia?

In Italia succede quanto Ainio racconta attraverso il suo Banzai.

"Colpirne uno per educarne cento"

Ieri ho partecipato ad una tavola rotonda in occasione dell’assemblea di Indicam, l’istituto di CentroMarca  per la lotta alla contraffazione.
Grande imputato Internet. Ovviamente.

Sul palco (ma forse non in tutta la sala) un teorema spaventoso che ho cercato – del tutto inutilmente – di  smontare: “La contraffazione è un crimine perseguito da due tipi di criminali: i contraffattori e i cittadini  disonesti”.

E due derivati ancora più inquietanti:
“I consumatori-criminali andrebbero messi alla gogna e additati al pubblico ludibrio”.
Tanto per capirci, il consumatore-criminale è quello che compra la borsetta in spiaggia dal cosiddetto  “marocchino”.
“Gli Internet provider (non meglio identificati per povertà di vocabolario) devono censurare
la rete impedendo il collegamento dell’utente ogni volta che appare un brand su siti non ufficiali”.

Nulla da dire, ovviamente, sulla necessità di reprimere il fenomeno e di assicurare alla giustizia le
organizzazioni criminali che costituiscono l’ossatura dell’industria del falso.
Ma su questo tema le forze dell’ordine presenti hanno portato delle testimonianze di grande efficenza.

Molto da dire, invece, sulla cecità dei brand nei confronti delle leggi del mercato.
Tutti hanno riconosciuto il grande valore del web come mezzo di comunicazione, tutti hanno disconosciuto il valore del web come canale di vendita. Anzi, tutti auspicano un web controllato e disciplinato,  dove l’utente possa muoversi solo sui cosiddetti “siti ufficiali”.

Ci sarebbero da dire mille cose, compreso lo sconforto e la preoccupazione per il sistema paese che sono
stati ancora una volta confermati dallo spettacolo di questi censori moderni.

Mi limito a elencarne tre, che sono poi quelle, che ho cercato di dire ieri:

Digital Signature.
Chiunque produca oggi attraverso un processo minimamente industriale è in grado di accoppiare ad ogni
singolo pezzo prodotto una firma digitale. Riusciamo a farlo con i prosciutti, possiamo farlo anche con le
borsette e le scarpe. La firma digitale che è poi un codice univoco non riproducibile, consente di tracciare
con efficacia il fenomeno della contraffazione, coinvolgendo il consumatore finale che spesso è vittima del
fenomeno tanto quanto il produttore.

Presidio del canale.
Il web “is here to stay”, non c’è nulla da fare, inutile combatterlo, va presidiato e gestito. Se un brand decide di non vendere su internet o di farlo solo attraverso il suo sito ufficiale, sta “chiudendo i negozi” sulle strade  dove i suoi clienti vogliono comprare. E’ ovvio che così facendo si lascia insoddisfatto un bisogno che altri  provvedono a “soddisfare”.

Investimento sui contenuti.
Spesso i siti dei contraffattori sono più usabili, efficienti dal punto di vista SEO e a volte molto più belli dei
siti ufficiali. Investire sulla produzione di contenuti per i propri clienti e non su dei websites che soddisfino
i gusti dell’amministratore delegato nel corso di una presentazione in sala riunioni, sarebbe cosa buona e
giusta, doverosa e salutare.

Un’ultima considerazione.
Il web e l’ecommerce comportano senza dubbio un forte power-shift verso il cliente a discapito della marca
e dei canali distributivi. E’ un fenomeno inarrestabile che cambia profondamente i mercati, davvero inutile
lottarci contro.
Le aziende devono adattarsi e approfittarne in maniera smart.
E non dimenticarsi mai che un cliente, che spende i propri soldi per comprare un tuo prodotto, è l’asset più  importante di ogni azienda B2C.

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