Finale d’anno all’insegna della stabilità per i titoli high-tech italiani, secondo quanto segnala l’andamento dell’indice Italia Tech elaborato da 6 In Rete Consulting per Tech Fanpage: dal 25 novembre al 17 dicembre infatti i 26 titoli che lo compongono hanno mediamente perso lo 0,32%, variazione che coincide con quella dall’11 novembre scorso (data di inizio delle nostre analisi). Nel frattempo gli indici dei mercati azionari, non solo in Italia, sono andati letteralmente sull’ottovolante complice una crisi, quella del debito sovrano europeo, che non può essere risolta a breve termine come piacerebbe a molti investitori sia per la sua natura (sebbene ogni paese sia partito da una situazione differente nel complesso l’Europa è venuta a trovarsi con una situazione di squilibrio di partite correnti tra paesi “core” e paesi “periferici” accompagnata a un debito sostenibile a livello complessivo ma fortemente squilibrato per alcuni singoli paesi come l’Italia) sia per le differenti visioni strategiche delle varie autorità nazionali riguardo come risolverla (con la Germania e l’Olanda che non vorrebbero fare “sconti”, mentre Francia, Spagna e Italia tentano di recuperare un minimo di margine di manovra per non fare la fine di Grecia, Irlanda e Portogallo che hanno dovuto accettare manovre molto dure i cui effetti depressivi sull’economia dei singoli stati sono ormai evidenti, con relative tensioni sociali).
Così se guardiamo alla performance dal 25 novembre al 17 dicembre notiamo che l’indice Ftse Mib è riuscito a recuperare il 4,55% (grazie al peso preponderante di titoli bancari sull’indice italiano), mentre anche il Nasdaq 100 ha segnato un rimbalzo di poco superiore ai 4 punti percentuali, staccando nettamente i titoli tecnologici italiani, ma dall’11 novembre scorso la situazione si ribalta: i nostri 26 campioncini hanno pressoché mantenuto il loro valore mentre l’Ftse Mib ha perso il 7,65% e anche il Nasdaq 100 ha sfiorato il 5% di perdita. Il che è una vera sorpresa, primo perché solitamente i titoli high-tech hanno un beta (ossia una volatilità della performance del singolo titolo rispetto all’andamento dell’indice di mercato) elevato, secondo perché come noto l’indice Italia Tech pur essendo composto da un buon numero di elementi risente del “peccato originale” dei tecnologici italiani, essendo spiegato in termini di capitalizzazione per oltre metà da un solo titolo, Stmicroelectronics, che vale 3,87 miliardi di euro rispetto ai 6,12 miliardi di valore complessivo dei 26 componenti dell’indice. Il che dovrebbe rendere l’indice particolarmente volatile (Stm tra il 25 novembre e il 17 dicembre ha perso il 2,39%, vale a dire nove volte la perdita dell’indice) ma per fortuna sembra che non sia così e che l’indice possa offrire una visione non troppo distorta del meglio della tecnologia quotata sul listino di Milano.
In realtà andando a vedere i singoli componenti si nota che non è tanto un problema di varianza (ossia di volatilità del singolo titolo), che resta elevata per i vari componenti (anzi: nel periodo osservato Tas ha segnato +39%, Chl ha guadagnato il 20%, Digital Bros il 14,8%, Exprivia poco meno dell’11% e MolMed oltre il 10%, mentre Txt e-Solutions ha perso il 30% circa, Eurotech è in rosso del 10,5%, Buongiorno ha lasciato sul campo poco meno del 9%), quanto di una covarianza (la volatilità dell’intero paniere di titoli) abbastanza contenuta. Insomma, investire in titoli high-tech è effettivamente un “rischio” a causa di un andamento mediamente più volatile di quello degli indici di mercato, ma investire nell’intero comparto high-tech italiano sembra non esserlo grazie al fatto che guadagni e perdite sembrano compensarsi tra loro. La verifica di questa piccola sorpresa non potrà che venire (o meno) dall’analisi di medio-lungo periodo sull’andamento dell’indice e dei suoi singoli componenti nell’arco dei prossimi 2-3 anni tuttavia visto anche la più elevata volatilità di un paniere più ampio e tendenzialmente più qualificato come il Nasdaq 100 non è un cattivo inizio e sembra indicare che non di sole banche, telecomunicazioni, petrolio e automobili vive l’economia italiana e che il mercato (forse) se n’è accorto.