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Usi Facebook in ufficio? Sei colpevole di peculato

Cinque dipendenti del comune di Bertinoro sono stati colpiti da avviso di garanzia per i reati di peculato e abuso d’ufficio. Sono sospettati di aver consultato e aggiornato la propria pagina Facebook attraverso i computer dell’ufficio, sul posto di lavoro.
A cura di Redazione Tech
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Nel diritto penale italiano, il peculato si definisce come il reato commesso dal pubblico ufficiale che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio, il possesso o la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria.

In che modo un reato del genere possa essere riconducibile all'utilizzo di Facebook, ce lo spiegherà Massimo Melica -esperto di diritto applicato alle nuove tecnologie- della cui professionalità ci siamo avvalsi per provare a comprendere meglio l'accaduto.

Ecco l'antefatto.

Nelle verdi e rigogliose colline tra Cesena e Forlì, ed esattamente nel borgo medievale di Bertinoro, cinque dipendenti comunali sono stati colpiti da avviso di garanzia per i reati di peculato e abuso d’ufficio. Sono infatti sospettati di aver consultato e aggiornato la propria pagina Facebook attraverso i computer dell'ufficio, sul posto di lavoro, e per questo, si è proceduto al sequestro dei computer in questione.

Il sostituto procuratore della Repubblica Filippo Santangelo ha infatti firmato l'ordine di sequestro dei computer dei cinque inquisiti, affinché gli inquirenti copino il contenuto della memoria centrale al fine di estrapolare la cronologia degli accessi ad internet. Se l’accusa di peculato dovesse essere confermata, per i cinque inquisiti la pena oscillerebbe tra i tre e i dieci anni di reclusione.

A quanto pare, la vicenda ha avuto inizio da una serie di approfondimenti legati a un’altra indagine, sempre per peculato, realizzata dal corpo forestale nei confronti di un altro impiegato del borgo medievale di Bertinoro. Ma a preoccupare la rete sono le conseguenze del procedimento riguardante l'uso generico di Facebook sul posto di lavoro che potrebbe portare all'espresso divieto di utilizzo per moltissime categorie lavorative.

Ma ora, grazie all'aiuto di Massimo Melica, proviamo a comprendere meglio le implicazioni legislative di questa operazione e, soprattutto, le reali ripercussioni che una condanna produrrebbe sull'utilizzo delle nuove tecnologie sul posto di lavoro.

Facebook e i dipendenti: un rapporto difficile

Settimanalmente veniamo invasi da scoop che investono la società e le tecnologie della comunicazione, molto spesso queste notizie sensazionali coinvolgono Facebook o, più in generale, i social network.

La recente notizia, riportata da poche ore sui maggiori quotidiani telematici, descrive un caso verificatosi a Bertinoro, in provincia di Forlì, in cui cinque dipendenti comunali risultano indagati per il reato di peculato – ex art. 314 cp. – per aver consultato e aggiornato la propria pagina Facebook durante le ore di lavoro.

Nel caso di specie, gli indagati, se sottoposti a giudizio e all’esito di una sentenza a loro sfavorevole, rischiano una condanna edittale da tre a dieci anni.

Senza scendere troppo nel tecnicismo giuridico, sarà utile comprendere se il peculato si manifesta nell’utilizzo indebito di una porzione di connettività –pagata dal Comune-  che permette il collegamento telematico al social network; se diversamente investe l’aver usufruito di uno stipendio senza aver mantenuto uno standard di attenzione e di produttività sul lavoro; se infine è diminuita la portata dell’infrastruttura tecnologica dell’Ente pubblico per le continue chiamate di refresh dovute a Facebook.

Fatta questa premessa, che andrebbe a inquadrare il reato di peculato rafforzandolo o meno, occorre comprendere i limiti e le difficoltà nell’acquisizione della prova digitale attraverso sia l’attività di computer forensics sia quella, che ritengo più idonea, di net forensics a seguito del sequestro dei cinque desktop in uso agli indagati.

Oltre a questo, occorre ben definire i confini di diritto sostanziale. Il primo confine è legato all’art. 4 legge n. 300/70, ovvero allo Statuto dei Lavoratori, che vieta l’utilizzo di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza del lavoratore.

Il secondo limite è afferente alle linee guida dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali nel rapporto di lavoro, in cui si specifica, nel rispetto del trattamento dei dati, che le apparecchiature preordinate al controllo a distanza devono rispettare la dignità e la libertà dei lavoratori e sono da considerarsi in esubero -rispetto alla necessità di trattamento- i sistemi di riproduzione o memorizzazione delle pagine web visualizzate dal lavoratore durante la navigazione; parimenti non è consentita un’analisi occulta dei computer affidati in uso al dipendente.

Allora sorge la domanda su come difendersi dal lavoratore incline all’irresponsabile utilizzo di un computer ponendo a rischio non solo la sua personale produttività, quanto quella della parte datoriale a cui è legato.

Il problema si risolve prestando maggiore attenzione ai dettami normativi, in particolar modo alle misure di sicurezza previste dal Codice in materia di protezione dei dati personali che prevede l’adozione di circolari, regolamenti interni e soprattutto formazione ai dipendenti il tutto limitando nel 99% dei casi l’utilizzo indiscriminato della risorsa tecnologica.

L’osservanza delle corrette procedure assicura alla parte datoriale di arrivare legittimamente al richiamo, al provvedimento disciplinare e infine al licenziamento per giusta causa del lavoratore, con aggravio nei casi più gravi all’ottenimento di un risarcimento e di ogni altra conseguenza a livello penale.

Massimo Melica

Esperto di diritto applicato alle nuove tecnologie
Managing partner Melica Scandelin & Partners

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