15 dollari al giorno per diffondere bufale sui social: il business degli influencer delle fake news
Povertà, disinformazione e potere. Cambiando l'ordine degli addendi il risultato non cambia: una democrazia claudicante. A dimostrare – per l'ennesima volta – questa equazione tra manipolazione mediatica e desertificazione dei diritti civili e politici è una ricerca della Fondazione Mozilla, un'organizzazione no-proft americana. Uno studio che si è soffermato su alcuni strani messaggi apparsi su Twitter all'inizio di quest'anno, proprio mentre l'Alta Corte del Kenya era impegnata a rivedere le riforme costituzionali proposte dalla controversa (BBI) del presidente Uhuru Kenyatta. A destare il sospetto dei ricercatori sono stati alcuni hashtag che minavano la credibilità del tribunale e rafforzavano la sensatezza delle riforme proposte dalla BBI. Come se non bastasse, poco dopo hanno scoperto migliaia di account che promuovevano contenuti a favore della BBI, mettendo in cattiva luce la magistratura e gli attori della società civile keniota.
Ieri, 2 settembre, la fondazione ha pubblicato i risultati di questa ricerca. Il lavoro, condotto da Odanga Madung e Brian Obilo fa luce su una crescente industria di propaganda politica a pagamento sui social media. A dimostrarlo sono le stesse interviste fatte dai ricercatori a chi ha partecipato alla campagnia denigratoria della BBI. "Devi capire che viviamo in un paese [Kenya] in cui tante persone vivono con un dollaro al giorno", ha detto Obilo, che spiega quanto sia "difficile per i giovani trovare opportunità che possano aiutarli economicamente". Infatti i lauti compensi per chi contribuiva a infangare l'Alta Corte permettevano di assoldare molte persone: si andava dai dieci ai 15 dollari al giorno per twittare hashtag, che sarebbe stati accreditati tramite M-Pesa, un'app per trasferire denaro. A rendere la vicenda ancora più complessa è il fatto che questi "hire troll" – gli autori degli hashtag ricompensati con moneta sonante – non sapessero chi realmente li pagava. Ma questo mistero non ha dissuaso i troll. Nel paese africano, tra maggio e giugno di quest'anno, sono stati oltre 20.000 tweet e retweet inviati da 3.742 account, che orbitavano intorno a 11 diversi hashtag.
Il vantaggio offerto da Twitter
"Utilizzando sia la tecnologia che la revisione umana, abbiamo proattivamente e di routine affrontato i tentativi di manipolazione della piattaforma, mitigandoli su larga scala, e abbiamo preso provvedimenti per milioni di account ogni settimana data la violazione delle nostre politiche" ha dichiarato un portavoce di Twitter. Per dover di cronaca, va detto che il social network, in alcuni casi, ha avuto anche modo di monetizzare la pubblicità prodotta contro gli hashtag.
A dispetto delle apparenze, non abbiamo a che fare con la solita corruzione terzomondista. Si tratta invece di una vera e propria "industria di disinformazione su commissione" che opera su scala mondiale. Come capita spesso, a portare avanti campagne denigratorie sono anche personaggi famosi, al soldo di ignoti."Il denaro passa attraverso molte mani prima di arrivare alla persona che effettivamente va avanti a pubblicare [il contenuto]," ha spiegato Madung. Ma se "non sanno esattamente per chi stanno lavorando, sanno da che parte stanno".
Per Madung Twitter è una piattaforma perfetta per questa industria fiorente. Il suo valore aggiunto si nasconde proprio dietro il risparmio garantito a chi vi ricorre. A differenza di Facebook, che spesso richiede agli utenti una cifra variabile per promuovere i contenuti, gli hashtag fanno lo stesso lavoro gratuitamente. Twitter Trendings è controllata da un algoritmo che "identifica gli argomenti che sono popolari in questo momento".
In Kenya la piazza virtuale più frequentata dai giornalisti, dai politici e da altri personaggi influenti è proprio Twitter. Questo fa sì che chiunque voglia diffondere un messaggio – con l'intenzione che questo attecchisca il prima possibile – debba far ricorso proprio a questa piattaforma. Nel caso africano, non è ancora chiaro chi abbiamo finanziato questa industria, ma per Obilo una cosa è certa: il fine ultimo era "minare la fede nella magistratura". Un progetto che ha dovuto fare i conti con le sentenze della Alta Corte. A maggio, la stessa ha dichiarato incostituzionali le riforme proposte dalla BBI. Decisione confermata in agosto da una corte d'appello. Un segnale che infonde speranza.