Attenzione a cosa scrivete, perché tutto potrà essere utilizzato in tribunale, anche se scritto su WhatsApp. Sembra essere questo il senso sottinteso della sentenza della Cassazione dello scorso 17 luglio, attraverso la quale viene fornita a SMS ed email l'efficacia di prova nel giudizio civile. In breve, ora anche questi elementi possono diventare prove processuali in tribunale. Sembra scontato, ma fino ad oggi non lo era affatto: equiparare le missive cartacee con quelle digitali è un concetto forse semplice per noi, ma non per la legge che ad oggi aveva aperto solamente alla PEC, la posta elettronica certificata che aveva ottenuto lo status di piena prova insieme alle missive cartacee.
Con la sentenza della Cassazione, invece, il cambiamento è fondamentale: dall'essere semplici riproduzioni meccaniche – al pari delle fotografie – i messaggi digitali diventano ora pienamente efficaci all'interno del processo civile. Ciò che cambia è anche il fatto che non sarà più chi ha inviato il messaggio a doverne dimostrare l'invio e la ricezione, ma sarà il destinatario a dover dimostrare concretamente la non rispondenza con la realtà del testo. Un cambiamento importante anche in virtù del fatto che fino ad oggi servivano perizie per controllare se i messaggi partivano da un preciso dispositivo e arrivavano ad un altro, se non si trattavano di falsi informatici o se i messaggi erano stati effettivamente letti. Una procedura che a volte richiedeva anche la consegna del telefono e, quindi, di tutti i dati personali in esso contenuti.
La Cassazione si è espressa in merito all'interno del caso di un padre che ha negato all'ex moglie la sua parte di retta per l'asilo del figlio, un rifiuto basato, secondo l'uomo, sul fatto di non aver mai autorizzato questo contributo. Qui entrano in gioco le missive digitali: l'uomo avrebbe invece acconsentito alla spesa tramite un SMS, che la Cassazione ha deciso di utilizzare com prova. Equiparando i messaggi alle riproduzioni informatiche e inserendo sms ed email nei mezzi di prova piena. Con peraltro l'ulteriore novità costituita dall'aver invertito l’onere della prova: sarà l'interessato – e quindi il ricevente – a dover dimostrare l'eventuale disconoscimento di queste prove con argomentazioni concrete.