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Chip sottocutaneo per spiarci a distanza? Non funzionerebbe

La paura del chip sottocutaneo viene continuamente riproposta in Rete nonostante sia infondata. La tecnologia esiste, ma ha dei limiti che la rendono sconveniente per spiarci, mentre potrebbe semplificarci la vita.
A cura di Juanne Pili
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Sono tante le tesi di complotto riguardo al chip sottopelle. Snopes ne fa un'ottima analisi, soprattutto a proposito delle voci legate alla riforma sanitaria tentata da Obama. Difficile non vedere degli interessi politici ben precisi dietro la diffusione di questo genere di tesi di complotto, com'è già accaduto nella Storia. Secondo un recente articolo del Wall street journal si stima che le persone aventi un chip sottopelle sarebbero già tra le 30 e 50.000. Il termine utilizzato non aiuta a sfatare i miti al riguardo: Biohacking. Suscita pensieri loschi, ma le cose stanno in maniera ben diversa. Emblematica la storia dell'olandese Martijn Wismeijer: si fece "chippare" trasformando le sue mani sia in chiavi per l'ingresso di casa, sia come carte di credito.

Differenze tra reale esistenza e tesi di complotto. La bufala non riguarda l'esistenza di un chip sottocutaneo: gli Rfid impiantabili sottopelle esistono davvero e hanno già una loro storia. Tuttavia non li si può utilizzare per carpire informazioni a distanza, l'obbligo di chippare la popolazione quindi – oltre che costoso – non avrebbe grossi benefici ai fini orwelliani temuti dai complottisti, senza contare che non si tiene conto di eventuali allergie. Non rispondiamo tutti allo stesso modo ad una operazione di impianto – per quanto in scala ridotta – abbiamo tutti, in questo senso, sistemi immunitari diversi. Non di meno questi chip potrebbero essere molto utili in campo medico, permettendo di compiere analisi più accurate nell'ottica di una Medicina sempre più personalizzata. Da qui a sostenere come al solito che prima o poi verremo tutti chippati ce ne passa.

Come funziona un sistema di tag-Rfid. Basta dare un'occhiata alle specifiche tecniche dell'Rfid per farci un'idea: utilizza campi elettromagnetici per identificare e tracciare dei tag impiantati negli oggetti o in animali e persone. I tag contengono informazioni memorizzate elettronicamente: quelli passivi raccolgono energia dalle onde radio dei lettori Rfid nelle vicinanze; quelli attivi hanno una fonte di alimentazione locale – generalmente una batteria – tale da farli funzionare anche a centinaia di metri dal lettore, permettendo una lettura anche al di là del loro "campo visivo". A meno che non si voglia proporre di impiantare batterie o pannelli fotovoltaici sulla schiena della gente è abbastanza chiaro che stiamo parlando di letture passive, meglio note come near field communication: non vanno oltre una potenza pari a 13,56 MHz e una portata non superiore ai 10 centimetri. Dovrebbe esserci un Man in black a 10 centimetri di distanza da ciascuno di noi per prenderci le informazioni. Ad oggi le discrete vecchie tattiche di pedinamento sembrano ancora più convenienti.

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