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Google ti spia anche se hai il browser in modalità Incognito: via alla class action da 5 miliardi

In queste ore è arrivata la sentenza della giudice californiana Lucy Koh che era stata chiamata a decidere sull’ammissibilità del caso, e la conclusione ha dato ragione agli utenti: entrare in modalità Incognito non ferma la raccolta dati di Google e di altre aziende, e la casa di Mountain View non chiarisce a sufficienza questo aspetto.
A cura di Lorenzo Longhitano
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La modalità Incognito del browser Chrome è pensata per far sì che la cronologia delle pagine visitate al suo interno non resti memorizzata sul dispositivo in uso. Navigare con questo sistema può tornare utile in diversi frangenti, ma non impedisce a Google e ad altre aziende di continuare a raccogliere dati sugli utenti mentre visitano il Web. Il dettaglio non è di poco conto e per alcuni utenti non viene neppure spiegato in modo molto chiaro da Google; di questo, la casa di Montain View dovrà rispondere in tribunale in una class action da 5 miliardi di dollari.

La notizia dell'azione legale intentata nei confronti della multinazionale non è recente: il procedimento era stato avviato a giugno dell'anno scorso da tre utenti, ma Google aveva tentato di bloccarlo prima ancora che finisse nelle aule. La tesi dell'azienda è di essere sempre stata chiara sul fatto che Incognito non significhi invisibile, e che nei documenti sulla privacy relativi ai suoi prodotti e servizi viene specificato che l'utilizzo di queste modalità non rende impossibile raccogliere informazioni sugli utenti, ma si limita soltanto a frenare la memorizzazione della cronologia sui dispositivi utilizzati.

Per gli utenti che hanno intentato la causa, queste informazioni non vengono comunicate in modo sufficientemente chiaro. Chi apre una scheda Incognito su Chrome o su altri browser ha l'illusione di non poter essere tracciato online, e da un certo punto di vista il browser limita la quantità di informazioni che raccoglie e memorizza. D'altro canto però la maggior parte dei siti web ospita strumenti che permettono ugualmente di risalire alle attività online degli utenti, e visitarli rivela loro informazioni potenzialmente utili a una attività di tracciamento; alcuni strumenti sono realizzati proprio da Google, che in linea teorica potrebbe ricostruire i pezzi di navigazione nascosti dall'utilizzo di Incognito su Chrome.

In queste ore è arrivata la sentenza della giudice californiana Lucy Koh che era stata chiamata a decidere sull'ammissibilità del caso, e la conclusione ha dato ragione agli utenti: "Google non ha reso noto agli utenti che durante la navigazione privata avvenisse la raccolta dati descritta". Questo non significa che Google debba rimborsare gli utenti: la sentenza ha dato il semaforo verde all'iniziativa legale vera e propria, che Google ha già annunciato contrasterà "con forza"; sul piatto ci sono la somma richiesta dagli utenti e potenzialmente un precedente significativo per future azioni legali nei confronti del gruppo.

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