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Condanna a 9 mesi di carcere per spamming: sentenza choc del tribunale di Milano

Il tribunale di Milano condanna due manager di Buongiorno Vitaminic a nove mesi di carcere per aver spammato 180.000 utenti via newsletter.
A cura di Anna Coluccino
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Sono stati condannati a nove mesi di carcere i due manager, rispettivamente amministratore delegato e responsabile del trattamento dei dati informatici per Buongiorno Vitaminic, colpevoli di aver spammato gli indirizzi email di 180.000 utenti via newsletter. E' la prima volta che un'azione di spamming subisce una condanna penale, e si tratta di una sentenza che non possiamo non definire scioccante nel panorama Internet italiano. Non già perché riteniamo il furto di dati personali a fini pubblicitari una mancanza di poco conto, ma perché sembra quantomeno eccessivo rinchiudere in galera due persone colpevoli di aver voluto fare pubblicità alle proprie attività tramite email.

Tutto è cominciato nel 2001, quando l'amministratore del sito fuorissimo.com, Gianluca Costamagna, affida alla Buongiorno Vitaminic spa la gestione del database di una newsletter dal titolo "Fuorissimo day". La newsletter aveva lo scopo di diffondere contenuti umoristici a chiunque sottoscrivesse il servizio (circa 450.000 utenti) con cadenza bisettimanale. Il problema nasce quando, dopo la rescissione del contratto tra le due compagnie, Buongiorno Vitaminic invia a 180.000 utenti di Fuorissimo "altre newsletter non richieste (in particolare quella denominata ‘What's new', che pubblicizzava le novità dei servizi di Buongiorno Vitaminic)". E' a questo punto che scatta la denuncia di Costamagna; denuncia a cui ha fatto seguito un'inchiesta che si conclude oggi con l'incriminazione di Andrea Casalini e Carlo Giuseppe Frigato. I due sono stati condannati a nove mesi di carcere, con sospensione condizionale della pena, ma sono stati assolti dall'accusa di frode informatica.

Fermo restando la necessità di chiarire in che modo si siano svolti i fatti, ci pare quantomai esagerato imporre la carcerazione per aver spammato degli indirizzi email, ed anche la Buongiorno Spa accoglie la sentenza con un sommesso sconcerto: "prende atto della decisione, pur sottolineando che le accuse mosse da Clever sono state tutte ritenute infondate e che l'ipotizzato trattamento illecito dei dati appare fondato su una diversa lettura del rapporto contrattuale in essere all'epoca tra Buongiorno e Clever, piuttosto che su una accertata attività dolosa da parte dei manager di Buongiorno, i quali, per questa ragione, preannunciano l'intenzione di proporre appello. Buongiorno spa sottolinea infine come l’impatto economico della vicenda, già all’epoca dei fatti assolutamente trascurabile in valore assoluto, sia oggi del tutto insignificante nell’ambito delle complessive attività di Buongiorno e come la sentenza non possa in alcun modo generare effetti economico patrimoniali di qualche rilevanza per la società".

Insomma, sembra che l'intenzione della giustizia italiana sia quella di dare molto importanza ai cosiddetti "crimini informatici", il problema -però- è che finora non si è stati in grado di dare il giusto peso alle cose e si è scelto di infilare tutto nel calderone del "reato penale" senza grande discernimento. Il rischio è quello di allargare troppo la piattaforma delle attività considerate illegali, finendo per includere anche ciò che è vitale per la rete, come la libera circolazione della cultura, il divieto di censura e la pubblicizzazione di progetti ed eventi.

Questa non è la prima sentenza choc che la giustizia italiana emette in ambito tecnologico. Basti ricordare la riprovevole sentenza di inizio anno ai danni di Google (condannata perché degli adolescenti idioti hanno caricato un video in cui un ragazzo down viene maltrattato da alcuni bulli). Anche in quel caso, il tribunale di Milano non seppe comprendere che non si può accusare il web broadcaster per ciò che gli utenti pubblicano. La rete non è come la televisione; il web fa appello alla responsabilità di ognuno perché il controllo serrato di ogni contenuto da parte dei gestori è di fatto impossibile. Stesso dicasi per la sentenza, unica nel suo genere, che ha condannato Youtube perché alcuni utenti avevano uploadato contenuti coperti da copyright Mediaset.

Ora non vogliamo paragonare il diritto ad una diffusione libera della cultura al "diritto di spamming" (che non può certo esistere), ma da qui a considerarlo un reato penale ce ne passa. E anche tanto.

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