Da Tinder a Bumble, l’identikit degli utenti delle dating app più famose
Ormai sono tante ed è difficile capire quale sia la migliore. Andando a ritroso nel tempo, il 1995 fu un anno fatidico: era il 21 aprile quando Match.com, fondato da Gary Kremen e Peng T. Ong a San Francisco, fece il suo ingresso in rete. Non fu il primo sito di incontri, certo, ma ebbe il merito di fare da apripista per tutti quelli che arrivarono dopo. Oggi, nella pletora di dating app che offrono esperienze amorose (e non), quattro presentano differenze sostanziali degne di nota.
Tinder e il casanovismo
Nata nel 2012, nel giro di pochi anni questa dating app è riuscita a ottenere la fiducia di 50 milioni di utenti. Ma a rendere particolare la piattaforma è stata un'altra caratteristica: lo swiping. Una versione aggiornata di FaceMash, primo esperimento di un giovanissimo Mark Zuckerberg, che si basava sulla logica binaria e decisionista dell'"hot or not" game. Infatti, nel sito di incontri preferito degli Americani, per esprimere il proprio parere, l'individuo, uomo o donna che sia, può strisciare il dito sullo schermo: verso sinistra ("swipe left") se chi si palesa sullo schermo non piace, verso destra ("swipe right") se incuriosisce. Quando l'interesse è reciproco scatta l'abbinamento ("It's a match!"), un'occasione per scriversi nella chat privata e, chissà, incontrarsi fuori lo schermo.
Sebbene uno studio abbia dimostrato che dietro l'iscrizione a Tinder si nascondono ben 6 motivazioni (ricerca dell'amore, sesso occasionale, comunicazione più immediata, conferme per l'autostima, brivido d'eccitazione, tendenza), il sito di incontri americano si è conquistato con il tempo una nomea particolare. A quanto pare, le ricerche hanno provato che sono gli uomini a scorrere con maggior frequenza il dito verso destra. Una tattica, forse, per raggiungere il maggior numero di match, confidando sui principi della teoria delle probabilità. In questo senso, Tinder si configura come il sito d'incontri dei casanova seriali, stacanovisti degli appuntamenti al buio. Un approccio in linea con quanto richiesto dal nuovo algoritmo che nel 2019 mandò in pensione il vecchio Elo Score. Si dà il caso che questo cambiamento ha creato le condizioni per spingere l'utente a scorrere continuamente le dita sullo schermo. Più si è attivi sulla piattaforma, maggiori sono le possibilità di incontrare qualcuno. In altre parole, il tinderiano fa fede a un etica americanizzante, per cui all'impegno costante e illimitato corrisponde sempre il successo meritato. Dal self-made man al self-made lover.
Happn e i colpi di fulmine facilitati
In questo caso, siamo in un'altra dimensione. Se volessimo cercare un modo per spiegare la differenza tra questa dating app fondata nel 2014 e Tinder, potremmo dire che se la prima fa leva sul concetto del colpo di fulmine, la seconda è sottesa invece da un'idea che vede nella quantità il suo valore aggiunto. Happn si pone un semplice obiettivo: far sì che quegli sguardi scambiati tra sconosciuti – e che a volte vorremmo non finissero mai – non rimangano tali, ma anzi possano evolvere in una vera e propria conoscenza.
Ma come? Ogni volta che due utenti iscritti sulla piattaforma incrociano i loro percorsi nella vita reale, si crea un collegamento. Da lì, potranno decidere se esprimere apprezzamento o meno nei confronti di quello/a sconosciuto/a che (forse) avevano notato. Solo con un reciproco like, sarà possibile approfondire la conoscenza in una chat privata. Con questo meccanismo la piattaforma cerca di dissimulare la propria natura, dando all'utente la sensazione che dietro l'inizio della relazione non ci sia un freddo e indefesso algoritmo, ma che, al contrario, sia frutto del caso ("Accade"). Chi sceglie questo sito di incontri crede, o almeno spera, che l'amore si aggiri per strada sotto le vesti di qualcuno/a. L'utente riconosce dunque alla dating app il merito di facilitare quel processo progressivo da cui prende vita una coppia. Non si tratta semplicemente di persone romantiche, quanto di fatalisti che vogliono fare della casualità una grande occasione.
Bumble e l'assimetria dei rapporti
Non si discosta molto da Tinder, ma a far la differenza è il potere conferito alle donne. "Girl power!" sarebbe infatti uno slogan perfetto per Bumble. Nel caso di un "match", l'uomo non potrà scrivere nella chat privata fino a quando non sarà la donna a dare inizio alle danze. "È la donna a fare la prima mossa", recita una nota. Un meccanismo, quello di Bumble, che ha riscosso molto successo. Lo sa bene Whitney Wolfe Herd, fondatrice e Ceo dell'azienda, oggi la più giovane miliardaria self-made del mondo secondo Forbes.
La 32enne originaria dello Utah a 23 anni compariva tra i creatori di Tinder: anzi, a dir la verità, fu proprio lei a proporre quel nome. Ma dopo soli due anni, giunse alla conclusione che quell'ambiente non era adatto a lei. Una scelta maturata in seguito a una serie di abusi, minacce e discriminazioni sessuali subiti da Justin Mateen, altro co-fondatore di Tinder, che non accettava la fine del rapporto tra i due. Un episodio che come un fantasma aleggia sulle attività degli utenti, influenzandone la mentalità con cui si avvicinano a questa dating app. Perché qui i ragazzi imparano (forse) ad aspettare che le ragazze siano pronte. La precedenza di cui godono nel dare inizio alle danze è uno schiaffo all'istinto predatorio maschile che ha fatto dei siti di incontri luoghi da cui ci si teneva ben a distanza. Bumble accoglie a braccia aperte i pretendenti, mettendoli poi faccia a faccia con una realtà a cui (molti) sono poco abituati, in cui i rapporti di potere fanno sì che la donna ne esca sempre vincitrice: esprime in modo riservato il proprio apprezzamento, si concede il tempo giusto per iniziare a scrivere e, cosa molto importante, non è costretta a ricevere proposte o commenti da persone indesiderate.
Once e gli incontri meditati
Delle quattro è quella che predilige il tempo. O almeno fa in modo che due persone si diano del tempo l'un l'altra. Quello che avviene dentro quest'app si è infatti guadagnato l'appellativo di "slow dating". Ma mai come in questo caso è calzante il detto per cui "il tempo è denaro". Si dà il caso infatti che Once suggerisca un profilo al giorno, scelto da un algoritmo di matchmaking basato sull'IA. Chi desideri avere più conversazioni è costretto a pagare. In ogni caso, per 24 ore l'utente potrà visionare il profilo della persona, che da parte sua farà altrettanto. Solo quando viene espresso un reciproco apprezzamento, si apre una finestra che permetterà ai due di conversare.
Sono parecchie le informazioni prese in prestito dall’intelligenza artificiale per fa sì che l'utente abbia un'intera giornata da spendere sul profilo simile al suo: dati sull'account, preferenze sugli appuntamenti, esperienze pregresse. D'altra parte, anche gli utenti possono "aiutare" l'algoritmo, dando un voto a ogni singolo profilo, cosicché la IA possa decifrare il canone estetico che determina le scelte del soggetto. Un processo da cui deriva l'abitudine a osservare ogni possibile dettaglio della scheda informativa di chicchessia. Once sembra voglia dire agli utenti: "Prendetevi il vostro tempo, leggete tutto". D'altro canto, l'eccessiva quantità di dati da studiare trasforma l'utente tipo in un individuo riflessivo, attendista e pretenzioso. Insomma, se avesse voluto scegliere a occhi chiusi avrebbe optato per Tinder. Ma darsi del tempo su Once significa anche assumersi l'onore di spendere soldi, tanto che viene a crearsi un paradosso: la versione a pagamento concede una gamma di profili più ampia e, per questo stesso motivo, tradisce la promessa di una dating app in cui il tempo da dedicare a pochi avrebbe dovuto essere il principio fondante. Il risultato è un utente "schizofrenico" che non capisce se sia più conveniente approfittare dell'unico profilo quotidiano, che sulla base del lavoro algoritmico dovrebbe essere vicino al suo tipo ideale, oppure avere più libertà e accedere con una spesa variabile al mare magnum dei contatti della dating app.