Dove sono i nemici di internet? Il rapporto di Reporter Senza Frontiere
Ormai è lo strumento democratico per eccellenza, quello che in occasione delle rivolte che hanno mobilitato ed insanguinato il mondo arabo nel 2011 ha dato grande prova di sé come mezzo di divulgazione, informazione, condivisione, conoscenza e, dunque, veicolo di libertà. I dati di Reporters Without Borders relativi a marzo dell'anno scorso, mentre la primavera araba si estendeva attraversando buona parte di Paesi mediorientali da anni governati da regimi dittatoriali e violenti, mettevano in evidenza come internet stesse assolvendo con sempre maggiore ampiezza ed efficacia al proprio fondamentale ruolo, favorendo la circolazione delle idee ed agevolando nel processo di lotta contro l'oppressione e la tirannide. Il 2011 ha consacrato i social network come le nuovi armi nelle mani dei cittadini e dei sudditi di tutto il mondo, portando il vento di cambiamento partito dal Maghreb a soffiare sempre più lontano, spazzando via, in alcuni casi, le vestigia di regimi basati sull'oppressione e sull'uso indiscriminato della forza da parte dei governi.
L'incremento della repressione che ha caratterizzato i mesi successivi alla primavera araba, rientra dunque tra i fenomeni facilmente prevedibili: come ha rilevato RSF, in molti Stati internet è diventato il nemico numero, potenziale responsabile della sollevazione popolare e della destabilizzazione di regimi consolidati, portando così ad un incremento delle misure repressive da parte di questi ultimi nei confronti di quanto significhi libertà di espressione. In misura parallela, numerosi tra i Paesi presunti democratici non sono stati in grado di fornire il buon esempio: al contrario, si è assistito al diffondersi di atteggiamenti caratterizzati da una forte pressione che prevedono, in alcuni casi, la censura motivata dalle ragioni della pubblica sicurezza e il ricorso agli intermediari tecnici promossi a tutori di un ordine in vesti che ricordano quelle delle pubblica sicurezza.
Le società di controllo diventano i nuovi mercenari di una vera e propria corsa all'armamento on line. Gli hacker-attivisti apportano la loro esperienza tecnica ai cyber cittadini intrappolati tra le spire dei sistemi repressivi. Anche la diplomazia entra in gioco. La libertà di espressione on line rappresenta sempre più una scommessa per la politica interna ed estera.
«Il 2011 resterà un anno di violenza senza precedenti nei confronti dei cyber cittadini», dunque, nel corso del quale su un totale di 200 arresti, che include anche molti blogger, è stato rilevato un incremento del 30% rispetto all'anno precedente; a tutt'oggi sono 120 i "dissidenti" ancora detenuti nelle carceri di tutto il mondo. In quella che sembra essere diventata sempre più una guerra destinata, purtroppo, anche ad andare ben al di là dei circuiti della rete, sono reali anche i cinque morti assassinati durante il 2011: bilancio pesante e amaro e che, oltretutto, va letto tenendo in considerazione la scarsezza di dati relativi alla Siria, in cui le autorità sono impegnate da mesi in una brutale e crudele repressione che non risparmia cittadini inermi. Lì la diffusione di informazioni è un reato passibile di essere punito anche nel peggiore dei modi immaginabili: e mentre la Libia con la caduta di Gheddafi ha potuto mettere la parola fine alla censura on line, scampando al pericolo di un blocco totale dell'accesso alla rete che il colonnello aveva in animo di attuare, relativamente all'altro paese mediorientale la situazione resta ancora gravissima. In un punto del mondo ben distante, anche il Venezuela, al pari della Libia, esce dalla lista dei «paesi sotto controllo»; in verità, il governo di Chavez ha varato, proprio durante lo scorso anno, alcune leggi i cui effetti potrebbero essere patiti proprio dalla libertà delle comunicazioni ma, per il momento, RSF non ha rilevato ancora la presenza di problemi.
I nuovi nemici di Internet sono il Bahrein e la Bielorussia, entrati a pieno titolo in una lista che include Arabia Saudita, Birmania, Cina, Corea del Nord, Cuba, Iran, Uzbekistan, Turkmenistan e Vietnam dove tra filtri alla rete, propaganda a mezzo internet, limitazioni e problemi con l'accesso e controlli volti all'individuazione dei cyber dissidenti, la repressione costituisce norma e regola. In uno scenario sempre più inquietante, la Bielorussia del Presidente Loukachenko ha bloccato parzialmente il web, istituito una black list dei siti che diviene sempre più lunga, la polizia arresta e ferma preventivamente blogger ed internauti, creando una pesante strategia della tensione cristallizzata nella legge entrata in vigore lo scorso 6 gennaio che ufficializza il diritto di controllare internet e tutti i suoi utenti, potenziando i dispositivi di sorveglianza. Un incubo di oppressione paragonabile a quello toccato in sorte ai sudditi della monarchia del Bahrein:
Il Bahrein è l'esempio di una repressione riuscita grazie al black-out dell'informazione reso possibile da un impressionante arsenale di misure repressive: bando dei media stranieri, molestie nei confronti dei difensori dei diritti umani, arresti di blogger e cyber cittadini (tra i quali si è verificato un morto durante la detenzione), persecuzioni giudiziarie e campagne diffamatorie contro i militanti della libertà di informazione disturbi e interruzioni ai mezzi di comunicazione avvenuti soprattutto durante le grandi manifestazioni.
E mentre India e Kazakistan finiscono tra i Paesi da tenere sotto sorveglianza, a causa delle rispettive misure volte ad un maggiore controllo dell'informazione con politiche interne che danneggiano la privacy, violando la riservatezza dei dati, e la libertà di comunicazione, bloccando alcuni siti, alcuni Stati, pur non figurando nell'elenco del rapporto Internet Enemies Report 2012, restano comunque nel mirino degli osservatori a causa delle perplessità che continuano a suscitare: sono il Pakistan o il Marocco, l'Azerbaigian o il Tajikistan. La Thailandia si avvia rapidamente ad essere anch'essa parte della lista dei Paesi nemici, mentre la Birmania sembra aprirsi a timide riforme che dovrebbero significare molto in termini di acquisizione di libertà di espressione: ma prima che arrivino concretamente i risultati di queste riforme, prima che la censura venga eliminata e i blogger e gli attivisti liberati dalle carceri, è bene continuare a monitorare la situazione senza indugiare sugli ottimismi.
Complessivamente le differenze rispetto all'anno precedente rispecchiano i cambiamenti che il mondo ha conosciuto negli ultimi mesi: il diffondersi delle rivolte nate in area mediorientale e propagatesi rapidamente se, da una parte, ha significato la liberazione dal giogo dei potenti per alcune regioni sventurate, dall'altra ha avuto come risvolto certamente un inasprimento delle politiche di repressione da parte di quei governi che esercitano il potere principalmente attraverso l'esercizio della forza. Parallelamente il lavoro di hacker attivisti, giornalisti e di tutti quanti si sono impegnati per ridurre e limitare la censura on line ha comunque portato a dei risultati tangibili: in un modo o nell'altro, i cyber cittadini sono stati protagonisti degli eventi che hanno scosso società ritenute ormai immobili da decenni, così come nel mondo occidentale o presso Paesi in cui il giogo della tirannide è ancora troppo pressante.
Mentre la censura e il filtraggio accentuano la divisione del web e la segregazione digitale, la solidarietà tra i difensori della rete libera ed accessibile a tutti è quanto mai vitale per costruire o preservare quei ponti che permettano ai cyber cittadini di continuare a far circolare le informazioni.