Facebook sbarca a Wall Street. Era dai tempi dello sbarco in borsa di Google, nell’agosto 2004, che non si parlava tanto, sulla stampa di tutto il mondo, dello sbarco in borsa (a Wall Street, il listino di New York) di una società high-tech. Facebook, società che ha creato e gestisce l’omonimo celeberrimo social network, fondata nel febbraio del 2004 da Mark Zuckerberg (al momento ancora il principale azionista col 28,4% del capitale, ovvero oltre 533 milioni di azioni. Nel complesso il 70% del capitale di Facebook ante Ipo, pari ad oltre 1.319 milioni di titoli, risultava in mano a Zuckerberg e ad altri 11 top manager della società, assieme ad un 36,1% di azioni di classe A vincolate a un patto di sindacato; si noti che Zuckerberg e i suoi manager sono tutti titolari di azioni di classe B, ciascuna delle quali incorpora 10 diritti di voto, mentre a venire quotate saranno azioni di classe A, ciascuna dotata di 1 solo diritto di voto. A portare in borsa Facebook, che nel prospetto informativo ricorda di avere già superato quota 845 milioni di utenti attivi su base mensile (che generano 2,7 miliardi di “like” al giorno, caricano oltre 250 milioni di foto ogni giorno sulle loro bacheche e hanno ormai intrecciato oltre 100 miliardi di “amicizie”), sono sei “underwriters” di fama mondiale come Morgan Stanley, Jp Morgan, Goldman Sachs (che al momento detiene il 56,3% delle azioni di classe A, mentre un 31,4% è detenuto dalla investment DST Global, del miliardario russo Yuri Milner, e il rimanente 5,2% da T. Rowe Price Associates), Bank of America Merrill Lynch, Barclays Capital e Allen & Co. Llc.
Il prezzo è giusto? Facebook punta a collocare con lo sbarco in borsa a Wall Street (per la precisione sul listino del Nasdaq), il prossimo 18 maggio, qualcosa come 337,4 milioni di titoli di classe A, poco più della metà dei quali (attorno ai 180 milioni di titoli) offerti da fondatori, manager, dipendenti e soci finanziari, l’altra metà (quasi 158 milioni) da DST. Il prezzo verrà indicato solo il giorno prima del collocamento, alla chiusura della seduta del 17 maggio, ma dovrebbe salvo sorprese rimanere all’interno della forchetta indicativa di 28 e i 35 dollari per azione: Facebook potrebbe dunque arrivare a raccogliere fino a un massimo di 11,8 miliardi di dollari, che con la distribuzione dell’ulteriore quantitativo di titoli previsto nel caso di esercizio della clausola di greenshoe (ossia in caso di domanda fortemente superiore all’offerta) potrebbe però raggiungere i 13,6 miliardi. La valutazione implicita della società è dunque tra i 77 e i 96 miliardi di dollari, appena inferiore alle cifre massime circolate nei mesi scorsi (si era arrivato a superare i 100 miliardi di dollari di valore teorico). Numeri che straccerebbero quelli di Google, che otto anni fa raccolse “solo” 1,9 miliardi con una valutazione complessiva di 23 miliardi (salita nel frattempo ad oltre 197,3 miliardi), arrivando ad una valutazione implicita di 16 dollari di valore per ogni utente attivo registrato sul social network, elevata se pensate che il 2011 si è chiuso con 3,711 miliardi di dollari di fatturato (dunque circa 4,5-5 dollari di fatturato medio per utente) ma ancora distante dalla valutazione che il mercato in questo momento concede a LinkedIn altro social network sbarcato a Wall Street il 19 maggio dello scorso anno; ma “di nicchia” (161 milioni di utenti a fine marzo, numero in crescita di circa un milione al mese), pensato per profili “professionali” con un’età media attorno ai 40 anni, una capitalizzazione di circa 11,1 miliardi che implica una valutazione di circa 68 dollari per utente. Da notare anche che nel prospetto informativo Facebook dichiara che al momento si stima esistano 2 miliardi di utenti connessi a internet in tutto il mondo e di volerli “raggiungere tutti”, di fatto costituendo un’equazione ardita (Internet=Facebook), sebbene avvisi che è inevitabile che i tassi di crescita sia dei nuovi utenti sia di fatturato e utili della società cresceranno in futuro a ritmi via via meno elevati di quelli di questi anni (tassi di crescita stellari che in parte giustificherebbero valutazioni altrettanto sostenute).
Come fare a investire. In buona parte il successo dell’Ipo e la possibilità di staccare un prezzo più o meno elevato dipenderanno dalla domanda di titoli e qui sorge un problema: mentre l’agenzia Reuters parla di offerta “sottoscritta già più di una volta” in particolare grazie ad una domanda “sostenuta” da parte dei grandi investitori istituzionali che non sembrano preoccupati dal rallentamento della crescita dei ricavi pubblicitari emersa nell’ultimo trimestre, Bloomberg parla di “domanda più debole del previsto” proprio a causa di timori circa la futura crescita e riporta le dichiarazioni di alcuni analisti secondo cui a 35 dollari per azione (dunque circa 96 miliardi di dollari di valutazione complessiva della società) il titolo sarebbe “sopravvalutato”. Eventualità che renderebbe più conveniente attendere che siano passati i primi giorni di quotazione per poi, eventualmente, comprare il titolo direttamente in borsa anziché partecipare al collocamento. Già, ma come può un investitore italiano comprare titoli Facebook? Per la verità al momento non può: le contrattazione su circuiti privati, non ufficiali, come Sharepost (dove si scambiano azioni di società come Foursquare, Digg, BitTorrent, Linden Lab, Pinterest, Quora o Twitter solo per citarne alcune) o SecondMarket (dove si possono scambiare anche titoli di società come Hulu, Craiglist, LivingSocial o Spotify), sono state bloccate su richiesta di Facebook fin da fine marzo, della possibilità che venisse concesso agli utenti di Facebook di partecipare al collocamento e scambiarsi tra loro i titoli fuori mercato non si è più saputo niente e comunque sarebbe stato vietato farlo per utenti non residenti negli Usa, banche italiane che partecipino al collocamento non ve ne sono. Dunque a meno di non avere conti accesi negli Usa con le banche sottoscrittrici del collocamento non si potrà prendervi parte in alcun modo. Dal 18 maggio sarà invece possibile acquistare il titolo o attraverso intermediari italiani che accettino ordini per i titoli quotati sul mercato di New York (praticamente tutti i gruppi come Banca Sella o Webank che propongono servizi di trading online, ma anche le maggiori banche italiane come UniCredit o Intesa Sanpaolo), oppure scommettere su strumenti derivati come il nuovo Mini Future su Facebook che Royal Bank of Scotland si prepara a lanciare in Italia appena dopo la quotazione (e che va ad aggiungersi a quelli appena presentati su Apple, Google, Yahoo, LinkedIn, Groupon e Zynga). In questo caso si tratterà di future, ossia contratti a termine, sia “long” (contratto col quale ci si impegna ad acquistare ad un prezzo prefissato un certo quantitativo di titoli) sia “short” (contratto col quale è possibile vendere ad un prezzo prefissato un certo quantitativo di titoli). Sarà così possibile sia acquistare sia vendere allo scoperto, ossia limitandosi a pagare un premi (margine) in base al controvalore sottostante, decidendo entro la data di scadenza del contratto se eseguirlo, lucrando la differenza di prezzo che si sarà formata, o chiuderlo (perdendo così quanto pagato sino a quel momento).