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“Facebook” e “Twitter”: parole tabu per i media francesi

Il Conseil Supérieur de l’Audiovisuel (CSA) ha stabilito che le Tv e le Radio francesi non potranno più pronunciare le parole “Facebook” e “Twitter” a meno che non siano l’oggetto specifico di una notizia.
A cura di Anna Coluccino
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facebook-twitter

Come reagireste se vi dicessi che le parole Facebook e Twitter sono state bandite dalle televisione e dalle radio francesi? Non è uno scherzo e -lo giuro- non c'è nessun doppio senso o significato nascosto in quest'affermazione. Le cose stanno esattamente così: il Conseil Supérieur de l’Audiovisuel (CSA) ha stabilito che nessuno potrà più invitare i propri ascoltatori ad approfondire le notizie attraverso i due social network e, in generale, le parole Facebook e Twitter non potranno più essere pronunciate a meno che non siano "protagoniste di una notizia".

La giustificazione offerta da una portavoce del consiglio -Christine Kelly- recita più o meno così: "Perché si dovrebbe preferire Facebook, che vale miliardi di dollari, quando esistono molti altri social network che lottano per il riconoscimento? Questa è concorrenza sleale. Se permettiamo a Facebook e Twitter di essere nominati durante le messe in onda rischiamo l'apertura di un vaso di Pandora, altri social network si lamenteranno dicendo : perché non noi? "

Ha detto davvero così. Ve lo giuro.

Come se esistessero per davvero decine e decine di social network in grado di essere paragonati a Facebook e Twitter quanto a volume di utenza. Insomma, sarebbe un po' come dire "da oggi in poi non si possono più citare BBC, CNN o Al Jazeera come fonti perché esistono tanti altri network minori che, magari, hanno dato la medesima notizia, forse anche con qualche minuto d'anticipo, e potrebbero voler essere citati con la stessa frequenza".

La situazione ha davvero del paradossale, e le ragioni che avrebbero spinto la Francia a prendere una simile decisione -ovvero quelle addotte dalla portavoce del CSA- non stanno in piedi. Neanche un po'. Facebook e Twitter sono compagnie private, è vero, e quindi sottoposte alle normative antitrust; è anche vero che, al momento, sfiorano il monopolio di fatto, ma il punto è che non si può non considerare che si tratta di veri e propri mezzi di informazione di massa. Se si vuole raggiungere il proprio audience non è possibile tenersi fuori da questi due social network e non invitare gli spettatori ad approfondire le notizie attraverso la rete. Non esistono altri social network al mondo -in questo momento- dotati della stessa capacità di penetrazione sociale, e non si può vietare a radio e TV la pronuncia delle parole Facebook e Twitter sulla base di uno pseudo-criterio di par condicio.

La verità, a mio avviso, è quella suggerita da Matthew Fraser nel post apparso sul suo blog  –This Much I Know.

Il giornalista, anglosassone trapiantato a Parigi da oltre vent'anni, fa notare due cose. Innanzitutto rileva come l'ossessione dei francesi per strambe leggine al limite del paradosso sia pressoché proverbiale (basti pensare al divieto di mettere tende alle finestre in casa propria senza prima consultare un qualche dipartimento governativo che, ovviamente, stabilirà anche il colore consentito in quell'area) ma, soprattutto, ricorda il caso Minitel.

All'inizio degli anni '80 si diffuse, specialmente in Francia, un servizio di videotex denominato Minitel. L'apparecchio veniva fornito dallo stato, il costo del servizio veniva calcolato sulla bolletta del telefono e tutto faceva capo all'azienda di stato Telecom France. All'epoca, radio e tv pubblicizzarono il servizio senza sosta, suggerendo costantemente agli spettatori di approfondire le news e inviare commenti tramite il Minitel. Ma c'è di più, Fraser scrive: "Lo sporco segreto di Minitel erano i servizi di text message porno come Ulla- celebre per la pubblicità lasciva che campeggiava sul retro degli autobus parigini. […] Attraverso Minitel Rose, il governo francese era nel pornobusiness".

E allora com'è possibile che all'epoca nessuno si preoccupò che altri servizi potevano essere oscurati dall'onnipresenza del Minitel? Sarà forse che la provenienza anglosassone di questi nuovi media non risulta gradita ai francesi che, ancora oggi, chiamano il computer "ordinateur"?

Io penso di sì. Ma potrei sbagliarmi.

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