Facebook vale 50 miliardi di dollari? Secondo Goldman Sachs e DST sì
Goldman Sachs e la russa DST investono 500 milioni di dollari in Facebook sulla base di una valutazione complessiva della società creata da Mark Zuckerberg nel febbraio del 2004 e tra appassionati di IT, imprenditori in erba, aspiranti start-upper e investitori piccoli e grandi di tutto il mondo scatta il passaparola per cercare di capire se la valutazione è congrua, è destinata a salire ulteriormente o è semplicemente la prova provata che ormai Wall Street (risalita a livelli pre-fallimento Lehman Brothers, dunque sui massimi degli ultimi due anni) è nuovamente preda di un’esuberanza irrazionale, per usare un termine coniato alcuni anni fa dall’allora presidente della Federal Reserve (la banca centrale americana), Alan Greenspan.
Chi pensa che i banchieri d’affari americani e russi abbiano ragione da vendere e non vogliano solo assicurarsi un facile profitto nell’ambito di un’Ipo che in molti giudicano ormai prossima (si parla di un debutto a Wall Street entro il 2012) ricorda i numeri impressionanti del social network più famoso del mondo: gli utenti registrati a fine novembre scorso avevano superato i 647 milioni, pari a circa la metà degli utenti internet di tutto il mondo (1,31 miliardi di individui), mentre finora i soldi raccolti da investitori finanziari hanno superato la soglia di un miliardo di dollari (contro gli 8,3 milioni e i 25 milioni raccolti rispettivamente da Amazon.com e da Google prima del rispettivo collocamento azionario). Numeri che giustificherebbero secondo alcuni una capitalizzazione tra i 90 e i 100 miliardi di dollari se la crescita continuerà ai tassi di questi ultimi mesi.
Chi esprime le sue perplessità oltre a ricordare come gran parte del rialzo dei multipli borsistici in questi mesi sia dovuto a una massa imponente (si parla di almeno 2 mila miliardi di dollari) di capitali tuttora in cerca di investimenti più lucrosi che non quelli garantiti dai titoli di stato (difficilmente in grado di offrire più del 5% annuo lordo su qualsivoglia scadenza, se non al prezzo di un consistente rischio-emittente) fa notare come di Facebook non si sappiano con certezza neppure i dati economici più elementari: le stime parlano per l’anno appena concluso di un fatturato attorno ai 2 miliardi di dollari e lo stesso Zuckeberg aveva annunciato che la società era diventata profittevole già nel corso del 2009, ma al momento non ci sono dati certi sull’utile operativo né su quello netto.
Di certo Facebook appare impegnato in una battaglia con Google per la supremazia nel settore della raccolta pubblicitaria online, oltre ad aver già surclassato siti come Flickr (del gruppo Yahoo) o Photobucket come contenitore di foto digitali. Facebook è anche la principale arena per i social game di editori come Zynga (che da sola dovrebbe aver registrato un fatturato attorno ai 600 milioni di dollari nel corso del 2010) e secondo molti potrebbe essere in un prossimo futuro sempre più legato ad applicazioni mobili e televisive.
Il che significa che oltre a fare tabula rasa del valore presunto di gran parte del web (dove il traffico tende a concentrarsi su un numero sempre minore di siti e dove anche per editori importanti come il New York Times resta arduo riuscire a trovare un business model profittevole e sostenibile), Facebook potrebbe presto diventare concorrente dei maggiori gestori telefonici e dei principali broadcaster televisivi mondiali. Quanto basta per accendere la fantasia di centinaia di migliaia di piccoli e grandi investitori, ansiosi di partecipare alla “next big thing” in arrivo a Wall Street, nonostante il rischio concreto che si tratti non già dell’avvento di un “nuovo paradigma” sulla creazione del valore, ma semplicemente della comparsa della prima bolla speculativa degli anni Dieci del nuovo secolo.
CEO di 6 In Rete, Consulting Certified European Financial Analyst, Consigliere direttivo associazione Green Geek.