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Giro di affari da 200 milioni di dollari l’anno per pubblicare spam su Facebook

Un team di ricercatori italiani ha voluto porre l’attenzione sul giro di affari presente nel Social Network di Zuckerberg. Venti i siti che operano sul mercato nero dello spam, 13 dollari il prezzo di un post con collegamenti a portali di e-commerce, Youtube o altre piattaforme.
A cura di Bruno Mucciarelli
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Fare soldi "trafficando" su Facebook. Sembra essere una cosa più facile a farsi che a dirsi, almeno stando a quanto affermato da due ricercatori italiani, Andrea Stroppa e Carlo De Micheli, che analizzando in modo dettagliato ogni singolo post sul Social Network più famoso al mondo sono riusciti a scoprire una ventina di siti web operanti sul cosiddetto mercato nero dello spam, facendo guadagnare se stessi ma anche tutti i propri collaboratori a tale attività.

Il meccanismo dello spam su Facebook è praticamente il medesimo che possiamo trovare nel mondo del web. In modo semplice gli addetti ai lavori non realizzano altro che un continuo e strategico piazzamento di post sulle pagine fan di marchi, artisti o compagnie, contenenti link che portavano l'utente ignaro a siti di terze parti. Tutto è stato perfettamente stimato e sono stati studiati anche i meccanismi dai due ricercatori che addirittura hanno trovato spazio anche sul Guardian. La ricerca e la scoperta però ha del sensazionale e se per Twitter il mercato multimilionario dei falsi follower, che spesso raggiungono anche 360 milioni di dollari annui, per Facebook quello dello spammer sembra aprire una porta forse nuova.

Un lavoro quotato intorno ai 13 dollari per post sui profili intorno ai 30 mila fan, molto di più, 58 dollari, per quelli con 100 mila ammiratori. Siamo partiti da siti come DigitalPoint o Warriorforum, seguendo le tracce di chi offre, in cambio di accrediti PayPal, spazio su pagine fan o comunque la pubblicazione di post su altre pagine, magari ufficiali. Spesso gli spammer iniziano allestendo una propria fan page, che cercano di popolare di iscritti, e una volta ottenuti abbastanza “mi piace”, iniziano a vendere a terze parti la possibilità di inserire link sulla pagina.

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Ma come funziona il sistema sul social network? Fondamentalmente i link utilizzati vengono spesso accorciati usando appositi servizi, perfettamente legali, come Bit.ly o Tinyurl.com, rendendo perciò irriconoscibile l’indirizzo di destinazione. L'ignaro utente a quel punto il più delle volte approda ad un sito di e-commerce e lo scopo è quello di non tanto fare traffico ma monetizzare rapidamente l'azione. A questo punto si scopre che il 9 per cento di queste pagine ospita annunci Google AdSense e dunque anche la stessa società di Mountain View in qualche modo guadagna dallo spam. Chiaramente non è l'unico indirizzo che viene raggiunto infatti almeno una volta su otto si viene indirizzati in altri siti contenenti a loro volta selve di spam. Un cerchio senza fine.

In fondo alla piattaforma questo traffico fa comodo, se dovessero bannare tutti i profili in cui si verificano post di questo tipo andrebbero a intaccare il motore delle condivisioni quotidiani, le bacheche che muovono il volume di traffico e contenuti.

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Intervistato proprio da uno dei ricercatori anche uno spammer dichiara come: "Facebook non ci fa fuori semplicemente perché siamo quelli che ne producono gli stessi contenuti. Ogni giorno sforno contenuti divertenti e coinvolgenti condivisi e apprezzati da migliaia di utenti. Senza le fan page Facebook sarebbe deserto: quanti link condividono i vostri amici sulla Timeline? Risposta molto semplice. Pochi."

Insomma una giungla, vortici di spam che fanno guadagnare molto e a molte persone. Una piattaforma che riesce a vivere anche di questo e da cui in qualche modo ci si può difendere stando magari attenti a ciò che si va a cliccare.

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