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Gli Stati Uniti accusano Huawei di frode bancaria e di furto di segreti commerciali

A quasi due mesi dall’arresto in Canada del direttore finanziario, gli Stati Uniti formalizzano le accuse nei confronti di Huawei. Oltre ad avere commerciato con l’Iran violando le sanzioni imposte al Paese mediorientale, il gruppo è accusato anche di aver incentivato il furto di proprietà intellettuali rivali da parte dei propri dipendenti.
A cura di Lorenzo Longhitano
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Prosegue senza tregua il braccio di ferro tra gli Stati Uniti e il colosso dell'alta tecnologia Huawei. L'ultimo episodio dello scontro si è consumato in queste ore — a poche ore da una nuova serie di trattative commerciali tra Stati Uniti e Cina — con la messa nero su bianco da parte del dipartimento di giustizia statunitense delle accuse che le autorità americane muovono al gruppo cinese.

Sono due i documenti con i quali sono state formalizzate le accuse a Huawei. Nel primo le autorità accusano la società di frode bancaria, reato per il quale a dicembre era stata arrestata in Canada (su richiesta degli Stati Uniti) Meng Wanzhou, direttrice finanziaria del gruppo nonché figlia del fondatore. Secondo le accuse, Huawei avrebbe venduto apparecchiature tecnologiche all'Iran, violando le sanzioni imposte contro il Paese e sfruttando una società di copertura iraniana denominata Skycom, con sede a Hong Kong. La direttrice finanziaria del gruppo nel 2013 avrebbe inoltre mentito alle autorità bancarie statunitensi circa il rapporto tra Huawei e Skycom, agendo con la copertura del gruppo che, contestualmente, avrebbe fatto rientrare in patria i potenziali testimoni del caso.

Nel secondo documento l'accusa è di furto di segreti commerciali. Nel documento si fa menzione di alcuni dipendenti Huawei che si sarebbero appropriati di un braccio robotico ideato e utilizzato dall'operatore statunitense T-Mobile per replicarlo e inviarne le specifiche alla casa madre in Cina. Stando alle autorità statunitensi però l'attività denunciata non sarebbe il risultato di un'iniziativa personale dei dipendenti coinvolti, bensì il frutto di una politica di incentivi adottata da anni dalla società nei confronti di dipendenti in grado di sottrarre segreti alle aziende rivali.

La situazione è tesa. Per il direttore dell'FBI (solo una delle numerose figure di spicco che si sono espresse in queste ore sulla vicenda) il contenuto dei due dossier invita a prendere in seria considerazione i rischi che potrebbe comportare accogliere società come Huawei come elemento dell'infrastruttura di telecomunicazioni del Paese. Huawei, che respinge le accuse, si è detta delusa nell'apprenderle, mentre il ministero per l'industria e la tecnologia cinese ha definito gli atti ingiusti e immorali. Meng Wanzhou nel frattempo è ancora in libertà vigilata in Canada, ma ne è stata chiesta l'estradizione e per, i reati a lei contestati, potrebbe dover affrontare una condanna a trent'anni di carcere.

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