Google può modificare i risultati di ricerca: lo ha stabilito una sentenza
Attorno a Google in queste ultime settimane si stanno muovendo le autorità di mezzo mondo. Mentre le autorità europee stanno studiando modi per cercare di frenare lo strapotere di Google, negli Usa accade il contrario. Sulla base del Primo Emendamento della Costituzione americana, quello che sancisce la Libertà di parola e di espressione, la Corte di San Francisco ha stabilito che Google può mostrare e organizzare i risultati di ricerca del suo motore online nell'ordine che preferisce.
La Corte quindi, in virtù del Primo Emendamento, riconosce al colosso di Mountain View la sua libertà di azione e la discrezionalità nel posizionare i risultati all'interno del motore di ricerca. La vicenda è stata resa nota da Gigaom il quale riporta la vicenda che avrebbe portato a questa sentenza. Il caso riguarda il sito CoastNews che sosteneva che Google riportasse sempre in fondo i risultati che lo riguardavano. Un posizionamento che il sito riteneva essere ingiusto, anche in relazione al fatto che altri motori di ricerca, come Bing e Yahoo!, riportassero gli stessi risultati, quindi le stesse notizie, in posizioni più rilevanti. CoastNews riteneva anche che lo scopo di Google fosse quello di eliminare i risultati dal motore di ricerca perchè ritenuto un potenziale concorrente.
Sempre secondo la ricostruzione fatta da Gigaom, Google ha risposto con una mozione "anti-SLAAP", una tattica legale in genere usata per contestare, in maniera più rapida, cause che cercano di soffocare la libertà di parola. Di fronte a questa mozione, il giudice, Ernest H. Goldsmith della San Franciscco Superior Court, l'ha accolta stabilendo che le richieste di CoastNews contro Google sono da considerare come "un'attività costituzionalmente protetta".
E' una decisione importante questa della corte californiana in quanto sono diversi i siti online che aggregano contenuti, come ad esempio Yelp o Travelocity, che lamentano il potere di Google nelle ricerche online, rimproverandogli di favorire nei risultati delle ricerche web i contenuti dei servizi di Big G che ora sconfinano dai ristoranti ai viaggi. E a farne le spese sono proprio i diretti concorrenti.
La sentenza può quindi destare delusione tra quei siti che si sentono in balìa dei risultati di Google e sicuramente se ne discuterà a lungo.