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Il New York Times online sperimenta il modello Murdoch: news a pagamento

Il New York Times sceglie il modello Murdoch delle news a pagamento e spera di poter convincere i suoi più assidui lettori a comprare la versione online per 19,99 dollari al mese.
A cura di Anna Coluccino
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Anche il New York Times sceglie il modello Murdoch delle news a pagamento e prova a convincere i suoi più assidui lettori che, in fondo, spendere 19.99 dollari al mese per poter accedere a tutti i contenuti online del nytimes.com non è poi un'idea così folle. Forse no. Del resto, il Financial Times ha recentemente superato i 200.000 abbonati, con una  crescita del 71% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Parallelamente, però, la diffusione dell’edizione cartacea è diminuita del 2,64%, toccando le 390.121 copie vendute. Se questi siano numeri sufficienti a giustificare la piccola rivoluzione che il NYT ha intenzione di mettere in atto, lo scopriremo presto, per il momento restano in piedi i medesimi dubbi di sempre: vista e considerata la configurazione attuale dell'informazione online, ha ancora senso chiedere ai lettori di pagare per ricevere informazione?

E così, proprio mentre l‘Huffington Post si configura come il blog numero uno della rete ed impone un modello business destinato a fare scuola,  il NYT sceglie di inseguire un modello "classico", per non dire antiquato, e scommette sul fatto che il 15% dei suoi 40 milioni di utenti mensili (nella prospettiva più straordinariamente ottimistica) sarà disposto a pagare per ricevere le news… Questo significa che, sempre secondo il New York Times, ci sarebbero 6 milioni di utenti potenzialmente interessati a pagare per qualcosa che potrebbero avere gratis.

Esistono diversi modelli del genere in rete, quasi tutti facenti capo alla News Corp di Rupert Murdoch e, tra questi, il New York Times ha scelto il modello Financial Times, ovvero il cosiddetto modello "meter" in cui il pagamento della quota mensile viene richiesto solo agli utenti che superano una precisa soglia di accessi alle pagine digitali del quotidiano. Insomma, chi legge una notizia ogni tanto o, magari, si dedica alla rapida scorsa delle notizie in homepage, non sarà chiamato a corrispondere alcun obolo, mentre chi si dedica alla lettura approfondita del quotidiano sarà invitato a pagare per quel che legge.

Parallelamente, la redazione del NYT verrà riorganizzata al fine di offrire una copertura dell'informazione web 24 ore su 24. Inoltre, stando alle parole del direttore della celebra testata, Bill Kelelr "bisogna discutere su come gestire le storie di giornata online, coinvolgendo reporter, blog, fotografi, grafici, esperti di multimedia e di video: tutti devono essere pronti a dare il loro contributo". Si tratta dello stesso discorso che sta tenendo banco anche nel nostro paese, complice la lettera di Ferruccio de Bortoli, direttore del Corriere della Sera, ai suoi giornalisti: il giornalismo professionista deve rinnovarsi, adattare i suoi tempi e la sua struttura interna ai nuovi media, altrimenti è destinato a morire.  Con l'unica differenza che, nel caso del corriere.it, non sappiamo ancora se ci sarà il tentativo di far pagare un abbonamento per la versione online o se si punterà esclusivamente su altre forme di sostentamento.

Il punto è che se anche l'esperimento del Financial Times sembra parzialmente riuscito, non si possono non considerare due fattori: intanto i contenuti di un quotidiano economico sono, per loro stessa natura, fortemente specifici e meno disponibili in rete in forma gratuita, in secondo luogo, fare 200.000 abbonati e perdere, parallelamente, una buona manciata di inserzionisti a causa della riduzione del traffico può davvero essere considerato un affare? Ne sa qualcosa il Times Magazine (altro giornale News Corp) che, in teoria, sarebbe riuscito a conquistare 205.000 abbonati, ma, tanto per cominciare, la metà di questi lettori è abbonato alla versione cartacea; la versione online, quindi, non è altro che un bonus (non richiesto) compreso nel pacchetto. I restanti 100.000 non sono veri e propri abbonati, ma clienti che hanno comprato anche solo un articolo, oppure hanno sottoscritto l'offerta di prova ad un dollaro per un mese, o magari hanno acquistato l'app iPad o Android.

"veri" abbonati, quindi, si riducono ad un numero che non dovrebbe far ben sperare per il futuro delle news a pagamento, e -come se non bastasse- gli inserzionisti si sono sensibilmente ridotti da quando è stato istituito il nuovo modello di monetizzazione, ed ecco perché è lecito credere che la poca chiarezza nella diffusione dei dati sia dovuta al desiderio di non far scappare anche gli altri.

Insomma, è pur vero che se tutte le testate giornalistiche facessero pagare un abbonamento per i propri contenuti, gli utenti potrebbero essere costretti, gioco forza, a scegliere di abbonarsi a questo o quel quotidiano, proprio come (anni addietro) sceglievano di comprare un giornale piuttosto che un altro quando si recavano dall'edicolante. Ma il punto è che con il moltiplicarsi dei blog di informazione e controinformazione, e con l'esplosione degli UGC, il giornalismo professionista si trova a dover competere con l'ormai dirompente citizen journalism. Un giornalismo che molti si limitano a definire "amatoriale", credendo che questo basti a sconfiggerlo, e che invece rappresenta un competitor di tutto rispetto, che non può essere snobbato o accantonato. Il citizern journalism ha inflitto una decisa, inequivocabile e  definitiva virata al destino dell'informazione, e nell'ultimo anno il fenomeno è cresciuto sia in volume e che in proporzioni.

L'unica possibilità del giornalismo professionista consiste nell'offrire un informazione migliore alle stesse (gratuite) condizioni, o, al limite, immaginare formule di micropagamento che di sicuro non potranno aggirarsi sui 20 dollari al mese. A meno di non voler passare dall'essere celebri leader di opinione a piccoli oratori di nicchia.

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