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Investendo in banda larga cresce il PIL: lo dicono i fatti e gli studi

Secondo quanto emerso dallo studio condotto dalla Arthur D. Little e la Chalmers University of Technology in 33 paesi dell’OCSE, Italia compresa, un raddoppio della velocità delle connessioni produrrebbe un aumento del PIL pari allo 0.3%.
A cura di Anna Coluccino
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Lo scorso settembre la Arthur D. Little e la Chalmers University of Technology hanno pubblicato un interessante studio sulla connessione tra gli investimenti nella banda larga e la crescita del PIL. Lo studio, che prende in analisi 33 paesi dell'OECD o OCSE (Organization for Economic Cooperation and Development) isola e mette in relazione direttamente proporzionale due fenomeni:  l'ampliamento della banda e l'aumento di ricchezza di uno stato.

Lo studio dimostra almeno tre cose:

    • Il raddoppiamento della velocità di banda produce un incremento dello 0,3% nella crescita del PIL, il che equivale a 126 miliardi di dollari statunitensi, il che -a sua volta- equivale a oltre un settimo del tasso di crescita media annuale dell’OCSE nell'ultima decade.
    • Ulteriori raddoppi di velocità possono produrre una crescita superiore allo 0,3% (ad esempio, quadruplicare la velocità equivale a uno crescita dello 0,6% del PIL).
    • Si registrano nuovi effetti positivi, legati all'automatizzazione e semplificazione dei processi, come la maggiore produttività e un migliore accesso ai servizi di base come l'istruzione e la salute.

Secondo quanto affermato dal direttore della  Arthur D. Little, Erik Almqvist "fino ad ora c'è stata una totale assenza di prove schiaccianti che evidenziassero gli effetti della velocità di banda sull'economia. Questo studio empirico, unico nel suo genere, può aiutare i governi e gli altri decision makers a operare migliori compromessi e scelte politiche".

Dello stesso tenore il commento di Erik Bohlin, professore alla Chalmers University of Technology "questi risultati sono stati evinti dall'utilizzo di un rigoroso metodo scientifico dove la direzione della casualità, la qualità dei dati e i livelli significativi sono stati appropriatamente testati. I risultati di questo studio supportano le politiche governative che riconoscono e promuovono l'importanza della banda larga".

In buona sostanza, a giudicare dal tono del comunicato stampa, non ci troviamo di fronte alla solita indagine speculativa, ma davanri a uno studio empirico ampiamente documentato che mira ad assurgere a verità scientifica: si tratta di fatti veri e propri, di prove tangibili elaborate sulla base di dati pubblici, di constatazioni oggettive con cui i governi -se possiedono ancora un barlume di lungimiranza- dovranno fare i conti.

Non è più il tempo dei "secondo me la potenza del web è sopravvalutata" o del "in tempi di crisi ci sono altre priorità", a questo punto, dopo quanto si è detto, provato e studiato bisognerebbe essere ciechi per non comprendere la forza, anche economica, a cui molti paesi dell'OCSE (e non solo) rinunciano per l'incapacità di guardare oltre la misura del proprio naso.

Ma la verità è che, più probabilmente, esiste ancora la paura di "perdere il controllo", sussiste il terrore di ciò che è immateriale, non arginabile, esposto e, per tanto, potenzialmente difficile da tenere sotto custodia.

Ma ormai le analisi e gli studi vanno moltiplicandosi a vista d'occhio e non sarà possibile ignorarli ancora per molto. È altresì probabile che, come sempre accade, anche la banda larga e, in generale, l'azzeramento del digital divide diventino più oggetto di propaganda che di reale impegno politico. In Italia, ad esempio, di proclami ne abbiamo ascoltati tantissimi, si parlava di "Internet come priorità" già alla fine degli anni '90, e nel 2011 (quasi 2012) il paese occupa ancora nella parte bassa della classifica per numero di connessioni veloci tra i paesi dell'OCSE. A tutt'oggi, solo il 50% del paese possiede una connessione ad alta velocità ed esistono ampie zone rurali dove la connessione è completamente assente o viaggia a 56k.

Questa la situazione italiana al giugno 2011

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Nonostante l'evidenza del problema e, ci permettiamo di dirlo, l'ovvietà della soluzione, il nostro paese (compreso tra quelli oggetto dello studio*) continua a posticipare, a limitarsi alla fornitura di iPhone e iPad ai parlamentari, ad aprirsi timidamente ai social network ma senza mostrare reale competenza, proprietà e desiderio di indagare seriamente le opportunità offerte dall'innovazione digitale e tecnologica. E' pur vero -però- che la cecità non potrà caratterizzare ancora a lungo l'operato della politica italiana, e questo perché va aumentando la coscienza critica in merito alla necessità di un decisivo passo nella direzione dell'ammodernamento tecnologico; aumentano sia i cittadini consapevoli che chiedono manovre reali in tal senso, sia le realtà commerciali e industriali che grazie alla rete hanno costruito una fortuna e che -presto- avranno un peso specifico politico di gran lunga più consistente di quello odierno.

Insomma, i casi sono due: o l'ondata di richiesta popolare è così forte da spingere i politici ad interessarsi seriamente del problema e a non limitarsi a lanciare qualche tweet solo perché "fa giovane" e più favorire l'allargamento del consenso, oppure gli interessi industriali in materia diventeranno pressanti e cominceranno a chiedere azioni concrete.

*I paesi in cui è stato condotto lo studio sono: Australia, Austria, Belgio, Canada, Cile, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Islanda, Irlanda, Israele, Italia, Giappone, Corea, Messico, Netherlands, Nuova Zelanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, UK e US.

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