L’informazione ai tempi Twitter: il racconto social delle rivoluzioni arabe a confronto [REPORT]
Intorno alla fine del 2011 la questione che più ha interessato le analisi sociologiche, filosofiche, comunicative e i cosiddetti "bilanci di fine anno" è stata la Primavera Araba e -in generale- i movimenti di protesta che hanno animato questi ultimi dodici mesi: dagli Indignados a Occupy, tanto che persino il Times non ha potuto fare a meno di incoronare Il Contestatore a persona dell'anno.
È indubbio, infatti, che questo sia stato l'anno delle rivolte, delle sommosse popolari; e il 2012 -considerando l'inasprirsi della crisi economica- non dovrebbe essere da meno.
Proprio per queste ragioni è inevitabile che anche l'ambiente giornalistico si occupi di esaminare accuratamente le dinamiche che hanno caratterizzato la Primavera Araba sia in quanto fenomeno culturale, ma soprattutto in quanto fenomeno mediatico che ha innescato una rivoluzione dei modelli di comunicazione che non è più possibile azzerare: indietro non si torna. Il susseguirsi di contestazioni dell'anno appena trascorso, tra le moltissime altre cose, ha compiuto il ciclo di trasformazione che già da qualche anno aveva investito il mondo dei media, sovvertendo le modalità del fare comunicazione e veicolare informazione, opinioni, analisi.
A partire da come le rivolte hanno scelto di raccontare se stesse fino ad arrivare a come i giornalisti professionisti sono stati catturati degli stilemi comunicativi emergenti, appare evidente che nulla -dal 2011 in avanti- sarà più come prima.
Ecco perché abbiamo deciso di sottoporvi lo studio dell'International Journal of Communication che ha analizza la rivoluzione tunisina e quella egiziana nel loro raccontarsi per mezzo dei flussi informativi che hanno attraversato gli account Twitter di attivisti, blogger, giornalisti, media di mainstream e occasionali citizen journalist. I ruoli di ognuno vengono differenziati e contestualizzati al fine di comprenderne le caratteristiche, ma non viene fatta alcuna distinzione di ordine "qualitativo".
quote|right]Da un manifesto di France24|"Un battito d'ali in Tunisia può innescare una rivoluzione in Egitto"[/quote]
Il metodo
I dati solo stati raccolto mediante la funzione di Twitter che consente di interrogare il social network allo scopo di ottenere i tweet più recenti. Il sito di microblogging è stato aggiornato ogni cinque minuti allo scopo di visualizzare i 100 tweet pubblici contenti le specifiche parole chiave.
Sono stati analizzati oltre 150.000 tweet inviati dal 12 al 19 gennaio 2011 utilizzando l'hashtag #sidibouzid o #tunisia, e oltre 200.000 tweet inviati dal 24 al 29 gennaio 2011 contenenti l'hashtag' #egitto o #jan25. Dopodiché i vari attori (ovvero gli autori dei tweet) sono stati classificati a seconda della loro specifica funzione.
Gli attori chiave
I tweet sono stati suddivisi operando una distinzione sulla tipologia di "attore chiave" che li aveva prodotti. Si è scelto di guardare a come ciascun attore produceva e passava informazioni attraverso Twitter; sia nel caso tunisino che in quello egiziano, si è analizzato il diverso modo in cui il flusso di informazione attraversava la rete a seconda di chi lo produceva.
Gli "attori chiave" presi in analisi sono:
- Mainstream media organizations (MSM): principali canali di news che veicolano informazione in maniera sia digitale che non (ad esempio: @AJEnglish, @nytimes).
- Mainstream new media organizations (Web news orgs): blog, portali di news o realtà informative che esistono solo online (ad esempio: @HuffingtonPost).
- Organizzazioni non giornalistiche (Non media orgs): gruppi, compagnie, organizzazioni che non sono orientate principalmente alle news (ad esempio: @Vodafone, @Wikileaks).
- Giornalisti mainstream (journalist): persone che lavorano per media di mainstream (ad esempio: @AndersonCooper).
- Bloggers: persone che postano regolarmente in un dato blof e che vengono identificati in Twiter come blogger (ad esempio: @gr33ndata).
- Attivisti: persone che si auto-identificano come attiviste, persone che lavorano come attiviste presso qualche organizzazione o che twittano unicamente topic di stampo attivista per catturare l'attenzione dei lettori (ad esempio: @Ghonim).
- Digerati: persone che hanno un'influenza di tipo globale in alcuni circoli mediatici di stampo social e -quindi- sono ampiamente seguite su Twitter (ad esempio: @TimOReilly).
- Politici: persone conosciute principalmente per la loro relazione con un dato governo (e.g., @Diego_Arria, @JeanMarcAyrault).
- Celebrità (celebs): persone famose per attività non correlate alla tecnologia, alla politica, all'attivismo (ad esempio: @Alyssa_Milano).
- Ricercatore: persone legate a realtà universitarie o a gruppi di studio che si occupano di questione medio-orientale (ad esempio: @JRICole).
- Bots: accounts automatici che offrono tweet coerenti con l'argomento in grandi quantità (ad esempio: @toptweets).
- Altri: account che non possono essere consideranti appartenenti in maniera definita a nessuna delle categorie presentate.
Il contesto
La primavera araba è esplosa in corrispondenza al disperato gesto del fruttivendolo tunisino Mohamed Bouazizi; auto-immolatosi il 17 dicembre 2010 in segno di protesta contro la crisi economica, la disoccupazione, l'inflazione, la corruzione, la mancanza di libertà politica. Nonostante i tentativi di sopprimere la rivolta nel sangue, il 14 gennaio 2011 il presidente Ben Ali ha dovuto rassegnare le sue dimissioni.
Immediatamente dopo, e per le medesime ragioni di scontento, lo spirito rivoluzionario contagia anche l'Egitto che, il 25 gennaio, organizza una protesta in piazza Tarhir -Cairo. I manifestanti cominciano a occupare le principali città della nazione e non lasciano le piazze, il governo tenta di restringere ancor di più gli spazi di libertà, ma senza successo. L'11 febbraio il presidente Mubarak rassegna le dimissioni.
Lo studio
Innanzitutto lo studio parte dall'analizzare la distribuzione degli attori chiave in ciascuna delle due rivolte. Distribuzione che risulta incredibilmente speculare, con un netto protagonismo degli individui "non classificabili" (denomiati Other), ovvero di coloro che non risultano ascrivibili a nessuna categoria definita e univoca, dei blogger e degli attivisti. Circa i 70% degli account più attivi -in entrambi i casi- fanno capo a individui piuttosto che ad organizzazioni. I media di mainstream occupano appena il 7% del flusso totale di informazione, a dimostrazione dell'enorme mole di contenuto prodotta da tutti gli attori in campo e della grandissima attenzione che i due eventi hanno generato.
Possiamo inoltre anticipare che la maggiore professionalità nella cura del tweet che caratterizza i MSM e -in generale- gli account che fanno capo a una realtà organizzata, l'attenzione e la misura implicano -gioco forza- una produzione di contenuto più avara in termini di emotività, coinvolgimento, passione il che -come vedremo- non è ciò che gli utenti chiedono quando si tratta di seguire in tempo reale un evento come quelli di cui stiamo raccontando.
Naturalmente, il carattere globale dei MSM e il fatto di essere riconosciuti e ricercati come fonti di notizie fa sì che i loro follower siano (in media) in numero molto superiore a quelli posseduti dai detentori di account individuali. In media, le Organizzazioni hanno circa 4004 follower, contro i 2340 degli Individui (esclusi gli Altri) e ai 340 degli Altri.
Se poi si considera il grado di interazione tra gli account e gli utenti (ovvero il livello di engagement dei lettori), ancora una volta notiamo come le Organizzazioni possiedano una marcia in più. Gli appartenenti alla categoria Altri (Others) riescono a ottenere -in media- dei retweet sul 30% dei post pubblicati, mentre gli account dei MSM possono contare sull'88% di retweet.
Livello di engagement – Tunisia
Livello di engagement – Egitto
A questo punto, lo studio separa l'attività degli attori a seconda di due funzioni ben precise, la funzione source e la funzione size. La prima segnala il numero di volte in cui ciascun attore è stato fonte di news (ovvero è stato il primo a segnalare un certo evento) la seconda segnala, la seconda il numero di volte in cui un attore è stato citato, copiato o retweettato. Ed è proprio rispetto a queste due specifiche funzioni che compaiono le prime differenze tra la rivoluzione tunisina e quella egiziana.
Mentre in quella tunisina le fonti di notizia sono state, in prevalenza, la caterogira Bot e quella Altri, in quella egiziana Giornalisti, Attivisti e gli immancabili Altri la fanno da padroni. Rispetto alla funzione size –invece- la Tunisia vede il dominio assoluto dei Blogger e una cospicua attenzione verso gli account delle Celebrità, mentre l'Egitto è presidiato dalle Organizzazioni non giornalistiche e dagli Altri. Quest'ultimo dato, in particolare, è stato molto influenzato da un flusso di informazione partito dall'account di Wikileaks che recitava "WikiLeaks did more 4 Arab democracy than decades of backstage U.S. diplomacy http://bit.ly/iitGiF #egypt #tunisia”.
Insomma, osservando i grafici che seguono nel loro complesso appare evidente come la rivoluzione tunisina sia stata raccontata in maniera più spontanea, meno organizzata e -principalmente- da persone direttamente coinvolte negli eventi; quella egiziana -invece- ha visto un maggiore coinvolgimento di realtà giornalistiche strutturate.
A questo punto lo studio prende in analisi un'ultima variabile: i Sub-Flow, ovvero i movimenti dell'informazione tra gli stessi Attori.
Vale a dire: chi retwetta chi e quali sono gli argomenti o gli eventi in cui un attore di un certo tipo risulta più "autorevole" di un altro.
Da questo punto di vista appare chiaro come i Giornalisti e gli Attivisti svolgano la funzione di fonti primarie dell'informazione, mentre i Blogger (e gli stessi Attivisti) svolgano il principale compito di diffondere l'informazione, retweettandola. Ancora una volta, si evidenzia l'unica differenza macroscopica fin qui notata tra le due rivoluzioni: in Egitto l'operato dei giornalisti professionisti ha avuto una maggiore eco e, nella costruzione del racconto, è apparso più determinante che altrove.
Proseguendo nell'analisi e concentrandosi sui giornalisti come "divulgatori" di informazioni e non come fonti, si nota un'ulteriore conferma di quanto fin qui affermato: mentre in Egitto i giornalisti preferiscono diffondere i tweet di altri giornalisti, in Tunisia i giornalisti hanno si sono affidati tanto ai colleghi quanto agli attivisti per ottenere e propagare le informazioni.
Conclusioni
Al termine della complessa analisi, lo studio mostra come le due rivoluzioni siano state raccontate a più voci, voci che -per lo più- sono individuali, personali, non organizzate. Il lavoro di raccolta e diffusione delle informazioni è avvenuto in un clima di continuo scambio tra blogger, attivisti e giornalisti, a dimostrazione del fatto che –nell'era dei social media- il giornalismo è diventato conversazione.
Fermo restando che tali affermazioni hanno tanto più senso quanto più si limitano a prendere in considerazione eventi epocali come catastrofi naturali o guerre, lo studio conclude considerando che se di "conversazione" si tratta allora occorre prendere in considerazione gli altri "attori" in scena, ovvero i destinatari del flusso di informazione. Pur non potendo analizzare, nello specifico, come e perché i destinatari del flusso usufruiscano delle informazioni ricercate, non è possibile ottenere una visione esaustiva della questione senza considerare l'utente finale delle notizie anche se -nel caso dei social media- l'utente finale può diventare (e nella gran parte dei casi lo diventa) mittente a sua volta.
Nel caso oggetto dell'analisi, le rivoluzioni tunisina ed egiziana, i destinatari dell'informazione generata dai social media sono suddivisibili in tre macrogruppi:
- persone interessate perché coinvolte emotivamente dall'evento ma distanti dagli avvenimenti che intendono tenersi il più informate possibile sugli scontri;
- media di mainstream che sfruttano la rete come una sorta di "inviato sul campo";
- persone interessate alla questione che desiderano seguire l'evolversi delle situazioni.
Naturalmente, trattandosi di uno studio effettuato da giornalisti per verificare in che modo si stia modificando il modo di fare informazione, il principale oggetto di interesse delle "conclusioni" dello studio è proprio focalizzare l'attenzione su come i media di mainstream e -in generale- le Organizzazioni si servano dell'informazione prodotta amatorialmente attraverso i social media e, soprattutto, come modifichino il loro atteggiamento nei confronti dei nuovi mezzi di informazione per andare incontro alle richieste specifiche del mezzo.
L'analisi, inoltre, intende proporsi quale strumento utile all'individuazione dei difetti strutturali che ancora contaminano il giornalismo classico, impedendogli di sfruttare a pieno le potenzialità dei nuovi media. Appare chiaro, ad esempio, che i media di mainstream o qualunque canale di informazione potrebbero ottenere maggior successo in Twitter utilizzando gli account personali dei giornalisti piuttosto che quello "ufficiali", almeno in prossimità di eventi epocali. E questo perché un'informazione di tipo strutturato e asettico mal si confà al momento di tensione emotiva che caratterizza alcuni eventi.
Chi cerca informazioni su Twitter intende immergersi in una specifica situazione, il racconto -per quanto ben fatto- non basta, occorre umanità.