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L’Iran blocca le applicazioni di messaggistica durante gli scontri

Gli scontri in Iran nelle ultime ore hanno infiammato anche il web, dove i manifestanti sono alla ricerca di canali sicuri per le comunicazioni per organizzare le proteste in seguito ai blocchi imposti dal governo.
A cura di Marco Paretti
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Proseguono le notti di scontri di piazza, violenze e morti in Iran dove ormai da sei giorni vanno avanti le proteste antigovernative scaturite dal malcontento per disoccupazione, corruzione e carovita. Almeno 21 persone sono morte negli scontri, che nelle ultime ore hanno infiammato anche il web, dove i manifestanti sono alla ricerca di canali sicuri per le comunicazioni per organizzare le proteste in seguito ai blocchi imposti dal governo alle applicazioni di messaggistica più utilizzate. Ancor prima che scoppiassero le rivolte, infatti, le autorità hanno bloccato una grossa parte del web, compresi YouTube, Facebook e i principali servizi di VPN che avrebbero consentito di aggirare il blocco.

Il governo iraniano ha rafforzato la messa al bando dei software attraverso una combinazione di censura centralizzata per mano del Supreme Cybercouncil del paese e di diverse interferenze contro gli operatori locali. Il risultato è un sistema che può avere effetti devastanti su ogni servizio che il regime individua come minaccia. Per anni l'applicazione più popolare in Iran è stata Telegram, anche a causa della sua indipendenza dagli Stati Uniti: il team di sviluppo principale è russo, elemento che la rende meno vulnerabile alle richieste degli Stati Uniti. Il governo ha comunque spesso colpito i singoli utenti hackerando gli account e intercettando i messaggi di reset degli account inviati ai numeri telefonici degli utenti.

L'aumento delle proteste ha però reso Telegram uno strumento per i manifestanti e un obiettivo per il regime. Per questo lo scorso sabato diversi canali sono stati bloccati perché incitavano i manifestanti ad utilizzare molotov contro la polizia. Inoltre, secondo il fondatore dell'app Pavel Durov, il governo ha richiesto la sospensione di diversi altri canali che non hanno violato le direttive sulla violenza. Quando Telegram si è rifiutata, le autorità hanno bloccato il servizio in tutto il paese. Anche Signal, l'alternativa più popolare a Telegram, è bloccata in Iran, ma per altri motivi: l'applicazione si appoggia al Google AppEngine per nascondere il traffico attraverso un processo chiamato "domain fronting" che sfrutta il traffico di Google per "nascondere" quello di Signal. Il problema è che quando Google non è disponibile, non lo è nemmeno l'app di messaggistica e, nel caso dell'Iran, Google ha dovuto bloccare l'accesso all'AppEngine per sottostare ad alcune sanzioni degli USA. Il blocco lascia quindi i manifestanti in una situazione difficile, sprovvisti di un canale per coordinare l'attività tra i vari gruppi di attivisti che spesso rappresentano centinaia di migliaia di persone. WhatsApp è attualmente disponibile nel paese, che però l'ha bandito diverse volte in passato.

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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