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La proposta di legge sulla device neutrality solleva polemiche, ma non è contro Apple

Sta facendo, ancora, molto discutere la proposta di legge su quella che lo stesso Stefano Quintarelli, promotore del disegno di legge, definisce con il principio della “device neutrality”. Dopo un iter legislativo ininterrotto, la proposta è adesso in attesa di essere discussa al Senato. Ma non è una norma contro Apple, come precisa lo stesso Quintarelli.
A cura di Francesco Russo
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Sta facendo, ancora, molto discutere la proposta di legge su quella che lo stesso Stefano Quintarelli, promotore del disegno di legge, definisce con il principio della "device neutrality", raffrontando il ddl alla legge sulla Net Neutrality approvata lo scorso anno, con primo firmatario proprio Quintarelli. Tra l'altro la device neutrality è emersa negli anni come componente importante del grande dibattito sulla Net Neutrality nel corso degli ultimi tre anni. La proposta di legge 2.520 su "Disposizioni in materia di fornitura dei servizi della rete Internet per la tutela della concorrenza e della libertà di accesso degli utenti" è stata presentata l’8 luglio 2014 con primo firmatario Stefano Quintarelli di Civici e Innovatori, ex Scelta Civica e Gruppo Misto, ed è stata approvata nel 2016 alla Camera.

Il 10 maggio scorso la proposta ha terminato l'iter di discussione in commissione al Senato e ora è in attesa di essere calendarizzata la discussione in aula a Palazzo Madama. Ed è proprio con questo passaggio che, dopo tre anni di percorso legislativo ininterrotto, la proposta di legge accende le polemiche, che si sviluppano essenzialmente attorno agli articoli 4 e 6 della proposta. In pratica si sostiene che questa norma possa andare contro la Apple, e non solo, una interpretazione avanzata da Sergio Boccadutri, responsabile all'innovazione del PD, e anche da alcune associazioni. Sul tema è intervenuto lo stesso Stefano Quintarelli che sul suo blog ha risposto punto per punto a tutte le critiche che sono state mosse alla sua proposta.

La critica principale, che è quella che ha sollevato le polemiche, è quella che deriva dall'interpretazione dell'art. 4 della proposta, quello dove si dice che: "Gli utenti hanno il diritto di […] utilizzare a condizioni eque e non discriminatorie software, proprietario o a sorgente aperta, contenuti e servizi leciti di loro scelta". E anche che gli utenti hanno "il diritto di disinstallare software e di rimuovere contenuti che non siano di loro interesse dai propri dispositivi". Messa così, e data un'interpretazione senza considerare il testo dell'art. 6 della proposta (la parte dedicata alle sanzioni), a molti è sembrato un vero bando degli iPhone e del sistema iOS in generale. Ma così non è e lo spiega proprio Quintarelli, il quale ha affermato che questa interpretazione non rispecchia il testo della norma: "Non riguarda nessuno in particolare, ma tutti in generale, in quanto fa riferimento con una petizione di principio a dei diritti per gli utenti. Per cui, se vogliamo può riguardare Apple, Samsung, Amazon, Nintendo, Microsoft, Google, ecc.". Inoltre Quintarelli aggiunge: "La legge non impone alcun cambiamento alle pratiche commerciali di nessuno. Solo, in caso di discriminazioni dolose che causino un danno all’utente, introduce una possibile procedura semplificata e più breve rispetto ad Antitrust (il caso Google di questi giorni è durato 8 anni, e adesso inizia il ricorso). L’art. 4 è una petizione di principio, va letto in congiunzione con l’Art.6.".

È noto che sui dispositivi con sistema iOS non è possibile installare applicazione "a sorgente libera", ed è proprio questo che ha fatto scattare l'allarme. In molti hanno inteso che per Apple non sarebbe più stato possibile commercializzare i suoi dispositivi, se non, addirittura, realizzarne uno apposito in rispetto della norma.

Il punto su cui insiste Quintarelli, nel rispondere alle critiche, è che "da sempre il sistema operativo dei Mac (macOS) consente, all’utente che lo voglia, di installare extra app-store senza gravare sulla sicurezza. Comunque secondo la mia proposta di legge, Apple, Microsoft, ecc. possono fare sempre il proprio store curato con le proprie regole, basta che le piattaforme non discriminino dolosamente chi fa software. Nel qual caso, se c’e’ danno ai consumatori, possono essere multati (massimo 5Meur, 1/500 della recente multa a Google)".

Ma allora se questa non è una legge anti Apple e che dovrebbe difendere i consumatori, a che serve? Quintarelli risponde facendo un parallelo con la legge sulla Net Neutrality, approvata lo scorso anno, applicando quindi il principio della "Device Neutrality". Questa norma in pratica punta a difendere gli utente dalla "discriminazioni di installazione applicazioni con fini anticompetitivi", rendendo il "percorso giudiziale più semplice e diretto rispetto ad una causa antitrust". In relazione all'ultimo concetto, questo è il contenuto dell'art. 6, secondo il quale, in caso di mancato rispetto del diritto del consumatore di utilizzare il dispositivo con i programmi e servizi che preferisce, prevedendo la possibilità di rivolgersi all’Agcm, e non all’Antitrust, che procede secondo il Codice del consumo.

La preoccupazione di Quintarelli è che questa errata interpretazione possa ostacolare il percorso legislativo della norma, se non addirittura bloccarlo definitivamente. Diversa invece la versione di Boccadutri che pensa che le problematiche investire da questa proposta possano essere già regolate dalle norme vigenti e che una norma come questa finirebbe per creare confusione agli operatori internazionali che non saprebbero come operare in termini di business. Sarà interessante, a questo punto, attendere la riunione dei capigruppo al Senato che dovrà calendalizzare i lavori dell'aula nelle prossime sedute e, a quel punto, sapremo quale sarà il percorso della proposta di legge.

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