La storia di Hitler, che non si può iscrivere ai social con il suo vero nome
Chiamare il proprio figlio con il nome di uno spietato dittatore responsabile della morte di milioni di persone può non sembrare qualcosa di particolarmente sensibile da fare, ma il padre di Hitler Cirraguista – giornalista panamense di 50 anni – voleva semplicemente dimostrare che un nome non determina il destino di una persona, e che poteva esistere benissimo "un Hitler buono". Mezzo secolo dopo purtroppo i social network e il mondo di Internet sembrano avere qualche problema con questa presa di posizione lodevole, e stanno facendo di tutto per censurare la presenza del signor Cirraguista dalle proprie pagine, trattata alla stregua di un insulto alla Storia e alle vittime del regime nazista. La storia la raccontata in questi giorni lo stesso Hitler Cirraguista al quotidiano El Pais, confessando che servizi come Facebook e Google gli impediscono di iscriversi sui loro server usando il suo nome proprio.
In realtà la Rete è l'ultimo degli scenari che per tutta la vita hanno dato problemi di qualche tipo a Cirraguista a causa del suo nome, a cominciare dal battesimo – quando il prete che ha officiato il sacramento non ha voluto registrare come nome il solo Hitler e ha persuaso il padre ad aggiungere José come primo nome; alla scuola del figlio Carlos, Hitler si fa chiamare con il nome di quest'ultimo – poiché a Panama è usanza comune che padre e figlio abbiano lo stesso nome ed è meno complicato presentarsi in questo modo. In generale però, fatta salva l'opinione di chi pensa che il nome sia stato scelto per motivi ideologici, la maggior parte degli ambienti si sono rivelati neutrali nei confronti dell'omonimia: Cirraguista ad esempio scrive sul quotidiano locale El Capital Financiero dove si firma tranquillamente con nome e cognome.
Sul social network di Mark Zuckerberg ha però dovuto riprendere in prestito il nome di Carlos: secondo la sua testimonianza, sembra che gli algoritmi interni al social pensati per filtrare i contenuti che incitano all'odio abbiano trattato il suo nome come una sorta di omaggio di cattivo gusto al dittatore nazista, bloccandogli dunque la possibilità di procedere con l'iscrizione. Con altri servizi le cose sono andate in modo leggermente diverso: LinkedIn e Twitter mostrano l'account del giornalista completo di nome e cognome, ma creare un account su Gmail ha dato problemi. Non solo: a quanto raccontato, anche le persone che devono rivolgersi a lui tramite posta elettronica utilizzando il serivizio di Google rischiano di vedersi il messaggio non recapitato perché finito nella rete di filtri interna ai server della casa di Mountain View.