LinkedIn elimina gli account delle escort. Gli utenti non devono promuovere la prostituzione
Il "mestiere più antico del mondo" non può assolutamente comparire sui social in modo esplicito. In particolare nel famoso sito professionale di LinkedIn che da poco ha deciso di estremizzare tale situazione ponendo un duro divieto nei confronti di tutti gli utenti che hanno creato account o profili promuoventi proprio tali situazioni di prostituzione.
Niente sesso nei siti professionali. Una regola fondamentale per LinkedIn che, si pone nei rapporti professionali tra aziende ed utenti proprio come un vero e proprio social, ha da poco rivalutato i propri termini di servizio imponendo una fondamentale clausola. I suoi iscritti non potranno creare esplicitamente contenuti o addirittura account che pubblicizzino o pongano promozioni di servizi di escort o di prostituzione.
Una regola che non sembra spuntare dal nulla, anzi risulta essere una conseguenza di una situazione abbastanza allarmante. A livello internazionale infatti molti sono gli account che, anche se in modo non esplicito, tentano di pubblicizzare attività sospette di false "studentesse" che propongono attività di intrattenimento. Secondo alcune dichiarazioni da parte di un importante portavoce di LinkedIn, l'azienda che si occupa del sito professionale, da sempre proibisce ai propri utenti di svolgere attività promozionali di questo tipo, ma vista l'ammissione in alcuni paesi della prostituzione, LinkedIn ha voluto ribadire, precisando, le regole a cui tutti devono sottostare.
I social network da tempo tentano di vietare in modo esplicito situazioni "hard" nella propria rete. Il re dei Social, Facebook, per esempio, vieta assolutamente di pubblicare contenuti "pornografici" o di utilizzare la portale per situazioni o scopi non legali. Oltretutto vieta anche la possibilità di utilizzare applicazioni con contenuti in qualche modo riconducibili ad "incontri" non proprio professionali. Si è visto anche come Vine, l'applicazione di video di Twitter, fosse stata messa sotto torchio da Apple obbligando gli sviluppatori di porre il divieto di pubblicazione dei video ai minori di 17 anni.