Luca De Biase lascia la direzione di Nòva ma avverte: “non consideratela una perdita”
Difficile non considerare una perdita il fatto che il miglior giornalista tecnologico italiano lasci la direzione di una delle pochissime testate (di valore) a tematica tech; difficile credere che il cambiamento possa rivelarsi migliorativo; difficile davvero… Ma se è proprio lui, il nostro direttore, a chiedere di "pensare positivo" per mezzo di una bella lettera di semi-commiato che non fa altro che aggiungere un'altra tacca alla sua levatura umana e professionale, come possiamo disobbedirgli e metterci ad urlare allo scandalo?
Difatti non possiamo. Ma la tentazione è forte.
Perché De Biase non è un giornalista qualsiasi e il ridimensionamento del suo ruolo non è ininfluente per il futuro di Nòva. Affatto. Luca De Biase sa cogliere gli aspetti più romantici dell'universo tecnologico, ragiona in termini storici e sociologici e non secondo criteri meramente economico finanziari o (peggio ancora) ludici.
Ci costringeva alla riflessione profonda, ci obbligava a spostare i limiti della "visione" sempre un passo più in là, ci offriva una lettura sempre nuova e stimolante degli avvenimenti, lasciava spazio al sogno e all'emozione… E non ce ne sono molti di giornalisti così. Specie nell'area tecnologica.
Proprio nel momento in cui la tecnologia sembra assumere un ruolo di primissimo piano nelle dinamiche delle società industrializzate e non, le più celebri testate tecnologiche italiane cambiano radicalmente il loro assetto. Prima Wired scarica Riccardo Luna e ora Nòva ridimensiona il ruolo di De Biase. Sarà un editor (…) o, come qualcuno lo ha definito per tentare di sminuire la portata dell'accadimento, editor at large. Ma la sensazione (o meglio la certezza) è che i proprietari delle più celebri testate tecnologiche stiano tentando di tagliare le spese e, contestualmente, aumentare l'audience modificando la linea editoriale a favore di contenuti più ammiccanti e meno complessi; e questo sia per via della crisi che inevitabilmente sta investendo la carta stampata, sia per favorire un allargamento del target potenziale. Il numero degli appassionati di tecnologia, infatti, cresce a vista d'occhio, ma non cresce altrettanto rapidamente la nicchia dei competenti (o almeno questa è l'opinione diffusa). E allora perché ostinarsi ad offrire parole complesse, ragionamenti articolati, approfondimenti antropologici, filosofici e chiavi di lettura inedite quando -in teoria- parlando delle applicazioni smartphone che consentono questa o quell'altra inutile diavoleria si raddoppiano le vendite?
In tutta sincerità, dubito che le testate tecnologiche potranno salvarsi decidendo di inseguire un qualche trend. Le grandi testate tecnologiche hanno il dovere di anticipare, non quello di inseguire.
La fortuna di una testata tech viene determinata soprattutto dalla capacità di leggere la realtà, interpretarla e -magari- prevederla. La convinzione che esista ancora oggi una marmaglia di geek occhialuti ed emarginati pronti a comprare qualunque cosa racconti loro di bizzarre applicazioni da nerd è decisamente datata, fa molto anni '90 e somiglia più alla rappresentazione cinematografica della realtà che alla realtà stessa. L'universo dei tech addicted è molto più variegato oggi di quanto non lo fosse in passato, è popolato da persone che si fanno domande vere e profonde e che non si limitano a giochicchiare con il gadget del momento. Luca De Biase sapeva rispondere a quelle domande e soprattutto (soprattutto) sapeva generarne di nuove e appassionanti nella testa dei suoi lettori.
Ecco perché, caro Luca, a prescindere dal contributo che continuerai ad offrire a Nòva, noi perdiamo qualcosa. Il che non vuol dire che non avremo più nulla o che quello che arriverà sarà necessariamente peggiore, sarà qualcosa di diverso e forse anche pregevole, ma non avrà più la tua inconfondibile impronta.
E allora perdonaci se ti chiediamo: cosa farai, ora? Dove andrai? Di che scriverai? Progetti per il futuro? Rimpianti? Sogni? Dove ti leggeremo ancora?
Domande banali, forse, ma necessarie. Un buon direttore riesce a creare un rapporto quasi personale con i suoi lettori; fa opinione, influenza il giudizio, guida i più inesperti nell'interpretazione di eventi inediti.
Un buon direttore sta attento a quel che dice e a come lo dice, perché sa di avere un seguito di persone interessate alla sua opinione; sa essere di ispirazione, ma con delicatezza, non impone la propria visione del mondo ma lascia che chi legge la maturi -maieuticamente- facendola sua.
Un buon direttore non abusa della sua autorevolezza, se ne serve con misura e responsabilità, per dire cose importanti.
Ma soprattutto, un buon direttore fa sì che il suo successore trovi un ambiente il più sereno possibile, tranquillizza i lettori e fa del suo meglio per proteggere la sua testata dal piccolo terremoto che -inevitabilmente- la scuoterà.
E tu, caro direttore, sei stato perfetto. Ancora una volta.