Diverse aziende del settore tecnologico si sono unite allo stato di Washington per combattere legalmente contro le recenti modifiche alle politiche sull'immigrazione, che hanno portato ad un blocco di tre mesi degli arrivi da sette paesi a maggioranza islamica e per quattro mesi del programma dei rifugiati. Ieri il procuratore generale Bob Ferguson ha avviato una causa contro l'ordine esecutivo di Trump, azione in seguito sostenuta da diverse entità, comprese almeno tre aziende tecnologiche: Microsoft, Amazon ed Expedia. L'azienda di Redmond starebbe fornendo informazioni sugli effetti dell'ordine sui propri dipendenti e ha dichiarato di essere "felice di testimoniare se necessario".
Anche Amazon ed Expedia sono al lavoro su dichiarazioni che possano dimostrare gli impatti negativi sul loro business riconducibili alla decisione del nuovo Presidente degli Stati Uniti. "Il nostro team legale ha preparato una dichiarazione in supporto del procuratore generale Ferguson che depositerà una causa contro l'ordine" ha spiegato Jeff Bezos, CEO di Amazon. L'azienda starebbe inoltre considerando altre opzioni legali. Expedia non ha ufficialmente rilasciato una dichiarazione, ma Ferguson ha citato la realtà all'interno di un comunicato stampa, definendola in supporto della causa.
La denuncia cercherà di provare che il blocco dell'immigrazione è incostituzionale e che le conseguenze che ne sono nate stanno "separando le famiglie di Washington e danneggiando migliaia di residenti, l'economia, le aziende e l'interesse dello stato di Washington nel rimanere un luogo di accoglienza per immigrati e rifugiati". Molti colossi tecnologici americani si sono schierati contro l'ordine esecutivo di Trump nel corso del weekend, ma solo Microsoft, Amazon ed Expedia – tutte realtà localizzate nella zona di Seattle, Washington – sono in grado di sostenere questa particolare sfida legale. Almeno fino a quando altre cause simili nasceranno negli altri stati.