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Processo alla Silicon Valley: Apple&co. avrebbero fatto cartello contro gli ingegneri informatici

Un gruppo di ingegneri decide di costituire una class action contro i colossi della Silicon Valley, colpevoli di aver creato un cartello comune fissando un limite agli stipendi, impedendo loro di cogliere altre possibilità di lavoro. Adesso c’è un processo. Un modo per non far sfuggire i propri “cervelli”
A cura di Francesco Russo
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Fino ad ora abbiamo sempre sentito parlare della Silicon Valley come la terra dove nascono e crescono opportunità che l'hanno resa esempio unico al mondo nel settore tecnologico. Non è un caso che i colossi del settore risiedono in quella zona, in California, e che le nuove e promettenti startup trovino proprio terreno fertile da quelle parti. Alcune startup italiane hanno fatto fortuna per il solo fatto di essersi trasferite da quelle parti. La Silicon Valley è quindi la sede per antonomasia di qualsiasi idea tech che possa davvero trasformarsi in una grande occasione di business. Ma c'è un caso che sta oscurando la Valley in questi giorni, un caso che rischia di offuscare non poco quello che tutti immaginano essere il luogo ideale per lavorare nel settore "tech".

In questi giorni a San Josè, in California, si sta celebrando un processo ai grandi colossi del settore tecnologico, tra i quali figurano Google, Apple, Ibm, Comcast Dreamworks e anche WPP, gruppo a cui fanno capo aziende come Hill & Knowlton, TNS, Burson-Masteller, Ogilvy Group, in seguito ad una class action costituita da un gruppo di migliaia di dipendenti, per lo più ingegneri, di queste aziende, contro questi colossi colpevoli di essersi accordati per limitare gli stipendi ai lavoratori e per ridurre a zero le possibilità di potersi muovere liberamente nel settore, impedendo loro di fatto di poter cogliere possibilità di lavoro presso un'azienda potenzialmente concorrente. Insomma, si potrebbe dire che questi colossi si siano messi d'accordo per evitare che i loro "cervelli" potessero andare a fare la fortuna del diretto concorrente. Detto così suona davvero come uno scandalo, ma c'è dell'altro. Il Dipartimento di Giustizia Usa di fronte ad una class action che costituita da 64 mila dipendenti di queste aziende ha voluto vederci chiaro e sembra che l'accordo abbia finito per coinvolgere circa 1 milione di lavoratori. Numeri rilevanti che il Dipartimento, l'equivalente del nostro Ministero della Giustizia, ha voluto indagare.

In realtà, per essere più precisi nel ricostruire questa vicenda, la notizia delle indagini del Dipartimento risale al periodo 2009/2010 e allora le indagini si concentrarono su un ristretto gruppo di aziende che comprendeva Apple, Google, Lucas Film, Pixar e Adobe.

Ma proprio in questi giorni sono saltate fuori delle prove, raccolte da Business Insider, che rischiano di trovare davvero una conferma di questo accordo e le prove sono uno scambio di email tra Eric Schmidt e Sergey Brin di Google che provano che questo accordo per gestire al ribasso, di comune accordo, il mercato del lavoro del settore "tech" esisteva davvero. Tant'è che il fondatore di Apple, Steve Jobs, un giorno chiama Brin, siamo nel 2005, per lamentarsi del fatto che Google stava cercando di reclutare qualche figura che in quel momento operava nel team di lavoro su Safari.

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Sul momento Brin non comprende il tono della telefonata e non conosce in effetti l'accordo che già esiste tra Apple e Google per non rubarsi a vicenda i dipendenti. Ma non passano neanche un paio di giorni che Steve Jobs richiama Brin per il fatto che Google stia selezionando figure tra cui dipendenti Apple. E questa volta Brin interviene sul processo di selezione e blocca tutto.

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A quanto pare il fenomeno non riguarderebbe solo le aziende più note, ma si pensa che tale accordo possa aver influito anche al di fuori della Silicon Valley e si spiegherebbe perchè siano coinvolti così tanti dipendenti. Ma altra conferma di questo disegno arriva proprio da Eric Schimdt con questa mail dove scrive proprio

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Preferirei che Omid lo facesse verbalmente, non vorrei si lasciassero tracce che potrebbero poi essere usate contro di noi"

E questa è la politica di selezione di Google, dove si vede bene la lista delle aziende da non chiamare

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Di fronte a queste prove è difficile pensare che questo disegno non sia vero, ma c'è un processo e val la pena attendere gli esiti. Anche se si sa di aziende pronte a pagare, ammettendo l'esistenza di questo accordo, evitando così conseguenze ben più pesanti. Però è una vicenda che rischia davvero di offuscare la Silicon Vallley.

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