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San Bernardino, l’FBI sbloccherà l’iPhone grazie all’aiuto degli hacker

Il New York Times avrebbe scoperto che il metodo offerto all’FBI per sbloccare l’iPhone della strage di San Bernardino sarebbe stato messo a punto da uno o più hacker. Il Dipartimento di Giustizia ha tempo fino al 5 aprile per verificare la validità del metodo.
A cura di Francesco Russo
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Due giorni fa il Dipartimento di giustizia aveva richiesto, e ottenuto, il rinvio dell'udienza prevista per il 22 marzo, motivando la richiesta con il fatto che l'Fbi aveva nel frattempo trovato un metodo che consentirebbe di sbloccare l'iPhone anche senza l'aiuto della Apple. In quel documento il Dipartimento non fa menzione di chi sia l'autore di questo metodo, lasciando un alone di mistero. Da questo punto di vista prova a fare luce il New York Times che avrebbe scoperto che ad offrire aiuto per la riuscita del metodo sarebbero uno o più hacker in grado di operare sull'iPhone utilizzato da Sayed Farook, uno dei due attentatori della strage di San Bernardino dello scorso 2 dicembre che provocò 14 vittime.

Secondo le informazioni raccolte dall'autorevole quotidiano americano, la soluzione sarebbe stata fornita all'Fbi in quanto Apple, a differenza degli altri colossi della tecnologia come Google e Microsoft, non offre ricompense a chi scopre falle di sicurezza nei suoi prodotti. Infatti di recente Uber ha annunciato che sta mettendo a punto un piano di ricompense per quegli utenti che sapranno individuare gravi criticità dell'app; anche Google non è nuova a progetti simili e, sempre di recente, ha aumentato la ricompensa fino a 100 mila dollari a chi sarà in grado di dimostrare la vulnerabilità del Chromebook.

La notizia ha sollevato molte polemiche proprio per il fatto che notoriamente Apple non ha mai attivato programmi di ricompense per hacker. E su questo è intervenuto anche John McAfee che si dice sicuro che la soluzione che sta mettendo in atto non farà felici Tim Cook e la Apple perchè si tratta di una chiave universale. Se fosse vero, si verificherebbe proprio quello che Tim Cook temeva. Anche Nyt Katie Moussouris, manager di HackerOne, la piattaforma che aziende come Yahoo, Dropbox e Uber usano per gestire i propri programmi di ricompensa, ha fatto sapere il suo pensiero a riguardo, consigliando al colosso di Cupertino di "modernizzare il suo approccio".

Altre fonti poi riportano che chi ha aiutato l'Fbi ad accedere ai dati dell'iPhone sarebbe stata la Cellebrite, una società israeliana tra i leader mondiali del settore, che ha lavorato con le agenzie di intelligence e con la Difesa per molti anni. Già dal 2013 ha fornito all'Fbi tecnologia di decrittazione.

Il Dipartimento ha quindi tempo fino al 5 aprile prossimo per portare avanti i test con il metodo che sarebbe stato messo appunto dagli hacker. The Guardian riporta che i test, finora condotti su altri iPhone, hanno consentito l'accesso agli smartphone protetti da password.

Vedremo cosa accadrà dopo il 5 aprile e se il braccio di ferro tra FBI e Apple andrà avanti.

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