Secondo questo studio americano i robot ci stanno rubando il lavoro
Con i recenti sviluppi degli ultimi anni nei campi della robotica e dell'automazione, sempre di più ci si sta scontrando con questioni politiche e legali legate all'introduzione massiccia delle macchine nella società. In particolare, con l'avvento delle reti neurali e dell'apprendimento automatico, la gamma delle possibilità di un automa si sono moltiplicate: non solo routine di azioni pre-fissate, ma anche la capacità di ragionamento e processi simili alla creatività umana. Uno degli aspetti che preoccupa di più, oltre alle questioni legali in merito alla responsabilità nel caso in cui una scelta di un robot porti a danneggiare cose o persone, è l'influenza che queste innovazioni possono portare nel mondo del lavoro. A dire la verità, il dibattito sulla sostituzione dei robot al posto dei lavoratori non è certo cosa recente: già negli anni '70 i movimenti operai avevano colto il processo in divenire, iniziando a porre anche la questione del reddito minimo. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, e l'automazione ha fatto i suoi progressi in direzioni allora anche inaspettate, accendendo sempre di più il dibattito.
Ora, uno studio di Daren Acemoglu del MIT e Pascual Restrepo della Boston University, sembrerebbe portare dati a conferma di una forte sostituzione uomo-macchina. I ricercatori hanno analizzato i dati relativi al mercato del lavoro statunitense dal 1990 al 2007, riscontrando che, in media, ogni robot introdotto ha ridotto l'occupazione di un distretto industriale da tre a sei lavoratori, abbassando complessivamente le retribuzioni di una percentuale tra lo 0,25% e lo 0,5%. Il numero di robot industriali utilizzati in tutto il mondo si aggira, secondo la International Federation of Robotics, attorno il milione e mezzo, ed è destinata almeno a raddoppiare entro il 2025. Per quanto riguarda i singoli settori, negli Stati Uniti a fare più uso di robot è la filiera automobilistica, con un utilizzo del 39% sul totale di automi utilizzati negli Stati Uniti. Seguono l'elettronica e le industrie chimica e metallurgica, mentre l'automazione pare quasi inesistente nei comparti cartiero e tessile.
Certo la questione è complessa, e non si può liquidare con una lista di numeri. Ad esempio, oltre all'introduzione dei robot, l'ultimo ventennio ha visto il susseguirsi di molte svolte politiche oltre che forti cambiamenti nelle scelte produttive, dunque è difficile considerare l'automazione come unica causa della riduzione dei posti di lavoro. Inoltre, uno studio compiuto solo su un paese non tiene conto dell'eventuale delocalizzazione del lavoro in altri paesi: basti pensare a quanto le industrie hi-tech preferiscano svolgere la manodopera in paesi orientali piuttosto che in occidente. Infine, senza cadere in paranoie luddiste, resta da capire come ripensare i processi di lavoro e reddito affinché siano al passo coi tempi, senza lasciare indietro nessuno e sfruttando le possibilità che la tecnologia offre per migliorare le nostre vite.