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Space Invaders festeggia i suoi 40 anni, ecco perché resterà per sempre un mito

Sono passati ormai quarant’anni da quando nel giugno del 1978 un promettente sviluppatore giapponese concepì Space Invaders, un gioco destinato a fare la storia della video-ludica e la fortuna della console Atari, divenendo un vero e proprio fenomeno culturale che ispirò gli sviluppatori successivi.
A cura di Juanne Pili
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Sono passati ormai 40 anni da quando nel giugno del 1978 Tomohiro Nishikado per conto di Taito si pose lo scopo di progettare il suo nuovo gioco arcade, Space Invaders. Allora anche in Giappone i videogiochi erano in una fase embrionale. C’erano poche regole da seguire, lo sviluppatore era un pioniere, con una libertà creativa che non può essere paragonata con quella dei colleghi attuali. Il videogioco in sé era un fenomeno culturale emergente. Nishikado non si sarebbe mai aspettato che proprio il suo sarebbe diventato così popolare, tanto da diventare un fenomeno di culto, assieme ad altri grandi classici come Pong, Breakout e Pac-Man.

Il fascino intramontabile dei pixel

Ma il fascino degli alieni pixellati – ispirati a La guerra dei mondi e Star Wars – potrebbe non essere comprensibile alle nuove generazioni. Certamente la stilizzazione era molto spinta, essendo lo spazio in memoria notevolmente piccolo rispetto a oggi, si doveva fare economia di pixel. Poteva bastare uno sviluppatore a concepire un gioco e, per quando graficamente semplice, non era meno impegnativo sfidare i nemici virtuali. Ed in questo Nishikado è stato davvero un genio, lui non pensava di lasciare un segno, gli interessava semplicemente spingere oltre il limite conosciuto ciò che si poteva fare con l’interattività, che nei videogiochi continua ad essere un aspetto strategico, perché garantisce l’attenzione e l’immersione nel gioco, anche senza bisogno dei potenti motori grafici attuali.

Da soli contro l'invasione aliena

Ci si trova da soli a controllare un cannone, lo scopo è quello di arrestare una invasione aliena sempre più crescente e rapida, tenendo la terra al riparo. Sembra una cosa semplice, ma non è proprio così. Nishikado dovette costruire un hardware apposito, con una scheda elettronica di sua invenzione combinata ad un processore Intel 8080 – quanti sviluppatori oggi potrebbero fare altrettanto? – ma è grazie ad un errore imprevisto che Space Invaders entrerà nella storia. La CPU infatti renderizzava troppo velocemente gli alieni quando erano in numero inferiore. Così Nishikado ne aumentò la velocità, trasformando un “difetto” in uno dei fattori di difficoltà più apprezzati del gioco.  Tutt’oggi si dibatte sulla sua principale fonte di ispirazione: si va dalla Guerra fredda all’esordio di Star Wars al cinema. Quel ch’è certo è che per il design degli alieni Nishikado trasse ispirazione dai polipi marziani di H. G. Wells.

Il gioco come software separato dall'hardware

Nishikado è anche riuscito a portare la competitività nei cabinati arcade. Il punteggio massimo raggiunto tenuto bene in vista chiamava i giocatori alla sfida, tentando di battere il record del giocatore precedente. Prima di Space Invaders i giochi venivano spesso creati tracciando circuiti e componenti elettronici su scheda arcade. Nishikado fu uno dei pionieri di una nuova concezione del videogioco, che permettesse di progettarli su un computer. Presto i giochi diventeranno una entità separata rispetto all'hardware, restando puro software. Così la creatura dello sviluppatore giapponese potè approdare dai cabinati alle console Atari 2600, finendo dritto nei salotti dei suoi estimatori.

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