Startup, il business plan trae in inganno
Una dichiarazione che potrebbe essere definita "disruptive" :
"Business plan could be misleading: let people think they will implement their business in the way described on it, but it is not" Erkko Autio, Imperial College Business School, Londra
E' stato in occasione della First International Entrepreneurship Exemplars Conference – Entrepreneurial ecosystems and the diffusion of startups – tenutasi a Catania lo scorso 23-25 maggio presso il Palazzo delle Scienze, che il Professor Erkko Autio, Docente di Imprenditorialità, con focus sulle imprese tecnologiche ed innovative, presso una delle maggiori Business School anglosassoni, ha fatto questa dichiarazione nell'ambito del panel dedicato alla formazione universitaria sui temi dell'imprenditorialità.
Tanti gli studiosi di imprenditorialità che hanno preso parte alla Conferenza patrocinata dall'Academy of Management ed organizzata dagli studiosi e docenti americani Jay Barney e Sharon Alvarez, ed i docenti dell'Ateneo catanese, i Prof. Rosario Faraci e Giovanni Battista Dagnino.
Rappresentanti da LUISS Business School, Politecnico di Milano, IULM, e svariati College ed Università europee ed extra-Europa si sono riuniti a formare una sorta di cabina di regia per affrontare le tematiche relative alla creazione di ecosistemi imprenditoriali e delle condizioni favorevoli perchè ci sia un terreno fertile per lo sviluppo delle startup. Noi c'eravamo ed abbiamo estrapolato la frase sopracitata da un discorso più ampio che mirava a chiarire l'utilità dell'insegnamento del business planning nei corsi di formazione universitaria e del taglio che sarebbe opportuno dare ai corsi perchè possano essere non fonte di concetti, ma supporto teorico-pratico per i potenziali startupper di domani.
Il Business Plan, quale documento strategico-finanziario che illustra l'idea progettuale perchè questa possa essere "comunicata", anche a chi poi dovrà giudicarla ed eventualmente supportarla finanziariamente, è necessario, ma non basta.
Il Business Plan è sì una guida, è sì un documento d'indirizzo che aiuta ad avere una visione d'insieme del business in oggetto per aiutare l'imprenditore nella sua implementazione, ma non descrive come poi il business risulterà, non è la riproduzione fedele su carta di quelle che poi saranno le strategie adottate, le dinamiche di mercato affrontate ed i numeri registrati nel budget, piuttosto che in un altro prospetto finanziario.
Parlare di business plan quale strumento ingannevole può risuonare troppo forte. La dichiarazione del Prof. Autio potrebbe far storcere il naso a qualcuno e preoccupare qualcun altro, ma non si vuole far passare un messaggio sbagliato. Piuttosto si vuole aprire gli occhi degli studenti, futuri startupper di domani, perchè siano consapevoli in merito agli strumenti che adoperano ed al limite degli stessi. Vero è che imparare a scrivere un buon business plan è uno dei requisiti che tutte le società che investono nel capitale di rischio, gli angel o i fondi dedicati dei gruppi bancari richiedono come "sine qua non" per valutare un progetto imprenditoriale – magari ancora solo allo stato di "idea" quando finisce sul loro tavolo – ma non basta ad indicare la linea da seguire per sviluppare la propria impresa.
Ciò che il prof. Autio ha cercato di trasmettere con le sue parole è che, probabilmente, il risultato finale del proprio progetto di business, al momento del lancio sul mercato o successivamente, non sarà come lo avevamo disegnato nel BP, ma ciò non vuol dire che abbiamo sbagliato, semplicemente fa parte del gioco.
Per chi insegna business planning, il messaggio è: dare il giusto peso allo strumento e farne capire i limiti. Per chi redige e adopera BP il messaggio è: sappiate che il BP non proietta fedelmente il modo in cui la vostra startup verrà implementata, quindi, non prendete il suo contenuto per un "must", ma siate pronti ai necessari ed inevitabili cambiamenti.