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Su Facebook si diffonde il 94% del materiale pedopornografico denunciato online

Le autorità di Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti, Giappone e India temono che le misure di crittografia end to end annunciate dal social network ormai tempo fa possano essere di ostacolo alle indagini che tentano di individuare i responsabili dei reati in tutto il mondo.
A cura di Lorenzo Longhitano
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Quella della diffusione di contenuti pedopornografici online è una piaga che con l'avvento di social network e piattaforme di messaggistica istantanea si è fatta sempre più grave. Gli strumenti di comunicazione digitale facilitano loro malgrado la diffusione di questa tipologia di materiale e negli ultimi anni hanno contribuito a far crescere il fenomeno in modo non indifferente. Facebook in particolare riveste un ruolo di primo piano al riguardo: secondo gli ultimi dati il social di Mark Zuckerberg è responsabile del 94 percento di tutte le immagini di abuso sui minori riportate dalle aziende tech statunitensi, e presto potrebbe chiudere le porte in faccia al lavoro di forze dell'ordine e agenzie internazionali che cercano di investigare su questi crimini.

La denuncia arriva dalle autorità di sette diversi Paesi – Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti, con l'aggiunta di Giappone e India – e si rifà a novità anticipate dallo stesso gruppo Facebook: da tempo in effetti la multinazionale statunitense ha anticipato di voler proteggere le conversazioni private che avvengono sulle sue piattaforme con una tipologia di crittografia già attiva su WhatsApp e che renderà impossibile intercettare attivamente lo scambio di questa tipologia di materiale. Il dato sulla quantità di immagini pedopornografiche che circolano sul social deriva invece da informazioni passate periodicamente dalle stesse aziende statunitensi alle autorità locali, dalle quali si evince che nel solo 2019 ben 69 milioni di immagini di abusi sono state condivise sulle piattaforme online di proprietà dei colossi della Silicon Valley; di queste, il 94 percento è stato condiviso su app e siti del gruppo Facebook.

Proteggere le conversazioni private degli utenti salvaguarda l'interesse di tutti, compresi dissidenti e iscritti che potrebbero usare i prodotti dell'azienda per comunicare tra loro senza timore di ripercussioni. Facebook dal canto suo utlilizza già algoritmi di intelligenza artificiale che da una parte riconoscono le immagini a rischio e dall'altra intercettano il materiale già segnalato anche all'interno di gruppi e conversazioni crittografati: l'attività di filtraggio e segnalazione dei contenuti illeciti viene insomma svolta da un sistema automatizzato e protegge dunque la privacy dell'enorme maggioranza di utenti che utilizza i prodotti per scopi leciti. Per le autortità locali dei Paesi che hanno firmato il documento di denuncia, il compromesso trovato dal gruppo Facebook rischia di mettere in pericolo la lotta alla diffusione della pedopornografia online, ma il documento si inserisce in un contesto più ampio.

Da tempo infatti i governi di diversi Paesi stanno tentando di spingere le aziende tecnologiche a indebolire i sistemi di protezione inseriti nelle piattaforme di comunicazione utilizzate da centinaia di milioni di utenti ogni giorno; lo scopo è consentire alle forze dell'ordine di sorvegliare in modo più stretto ciò che avviene al loro interno, ma il rischio di cedere a richieste simili è quello di dare vita a una rete di comunicazione nella quale chiunque può essere intercettato.

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