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Sui Social Network gli utenti tendono a conformarsi alle opinioni prevalenti

Il sondaggio di Pew Research, pubblicato ieri, evidenzia come anche sui Social Media si verifichi la tesi della “Spirale del Silenzio”. E il caso è evidente proprio in relazione allo scandalo che ha travolto la NSA sulla base delle rivelazioni di Edward Snowden. Gli intervistati hanno espresso scarsa disponibilità a discuterne sui Social Media per paura di esporsi.
A cura di Francesco Russo
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I Social Media sono il luogo per eccellenza dove informarsi, ma anche discutere e confrontarsi esponendo le proprie idee. Ma secondo un sondaggio di Pew Research pubblicato ieri, "Social Media and the Spiral of Silence", gli utenti che usano e frequentano i Social Media, nella fattispecie Facebook e Twitter, sono meno propensi ad esporre il proprio pensiero per paura di ritrovarsi poi in minoranza rispetto al pensiero che prevale poi tra la maggior parte dei nostri contatti e amici. E questo atteggiamento il sondaggio lo riscontra in particolar modo quando si tratta di argomenti legati alla politica. Si parla quindi, e non a caso, di "Spirale del Silenzio", una teoria che si occupava di analizzare il potere di persuasione dei "mass media", specie la televisione. La tesi dimostrava come questi mezzi, appunto la Tv, grazie al suo elevato potere di persuasione sono in grado di enfatizzare le opinioni prevalenti, rendendo minoritarie, o riducendo al "silenzio", quelle opinioni diverse.

Il sondaggio è stato effettuato negli Usa tra agosto e settembre 2013, sulla base di 1.801 interviste ad utenti americani. Il sondaggio ha evidenziato come questa tesi trovasse applicazione anche su Facebook e su Twitter, in relazione allo scandalo che ha coinvolto la NSA in relazione alle rivelazione di Edward Snowden. E proprio in merito a questo tema, i ricercatori dell'istituto di ricerca hanno rilevato un atteggiamento degli utenti che tendeva ad auto censurarsi rispetto a questi temi. Circa l'86% degli intervistati aveva espresso disponibilità a discutere di questi argomenti "di persona" con i propri familiari o amici, ma poi solo il 43% di essi si è detto disponibile ad affrontarli su Facebook. E il 41% aveva espresso disponibilità a discuterne su Twitter. Il sondaggio mostra come proprio di NSA e di Snowden ci fosse ritrosia ad esporsi. Infatti, di quel 14% che aveva invece manifestato disponibilità a discutere di certi temi di persona, solo lo 0,3% di essi aveva manifestato l'intenzione di farlo anche su Facebook e su Twitter. Pew Research quindi evidenzia come anche sui Social Media ci sia una "Spirale del Silenzio" che parte dall'offline e arriva poi all'online e coinvolge soprattutto quelle persone che la pensano in maniera diversa rispetto ai propri contatti.

Di conseguenza, dicono gli esperti dell'istituto:

L'utente tipico di Facebook, ossia quello che vi accede almeno due volte al giorno, ha la metà delle probabilità di imbattersi in discussioni che riguardano lo scandalo NSA-Snowden, rispetto ad una persona non utente di Facebook. Mentre l'utente tipico di Twitter, quello che vi accede almeno un paio di volte al giorno, ha 0,24 meno probabilità di condividere le proprie opinioni sul luogo di lavoro, rispetto ad un utente internet che non usa Twitter".

Lo studio rivela che le persone, in situazioni di offline ed online, erano disposte ad esporsi sullo scandalo NSA-Snowden nel caso in cui il loro pubblico la pensasse allo stesso modo. Si è quindi di fronte ad un esempio di auto-censura. Keith Hampton, uno degli autori del rapporto, in merito a quest'ultimo aspetto dice:

Questo tipo di auto-censura può significare che le informazioni importanti non vengono mai condiviso. Alcuni avevano sperato che i social media potessero offrire nuovi sbocchi per incoraggiare maggiormente la discussione e lo scambio di una più ampia gamma di opinioni. Ma in questo caso, vediamo il contrario – una spirale del silenzio esiste anche online."

Il rapporto evidenzia dunque la paura ad esporsi sui Social Media, rispetto a certi temi, per il timore di deludere i propri contatti, per il timore di dare vita a discussioni lunghe ed inutili e anche per il timore di perdere i propri contatti. Esiste anche un'altra motivazione che si collega alla caratteristica tipica del web, ossia il fatto che su internet tutte le informazioni sono rintracciabili, quindi anche le opinioni. Di conseguenza, sottolinea Pew Research, gli utenti non condividono le proprie idee su temi che riguardano la politica, o comunque su argomenti come quelli che hanno riguardato lo scandalo NSA-Snowden, per paura che le stesse possano essere poi rintracciate anche da potenziali datori di lavoro.

Il rapporto, inoltre, mette in evidenza come il periodo del sondaggio corrispondeva a quello in cui si stava cominciando a parlare del caso Snowden e che quindi, sulla base delle notizie che si avevano in quel periodo, sarebbe difficile pensare che l'utente americano abbia davvero cambiato idea. E su questo il Guardian, il quotidiano britannico che, ricordiamolo, per primo ha scoperto quello che è stato poi definito il "Datagate", precisa che "già il 6 giungo 2013 il giornale rendeva noto PRISM della NSA, compresi i documenti interni, sostenendo che l'agenzia americana aveva accesso diretto ai dati di Facebook, Google e Apple".

Il rapporto fornisce anche dei dati utili circa il modo in cui gli utenti americano sono venuti a conoscenza del caso Snowden. Il 34% degli intervistati ha citato fonti online diverse dai social media; il 31% ha detto che lo ha appreso da amici e parenti; il 19% ha detto che lo ha saputo dalla stampa; il 15% ha citato Facebook e solo il 3% ha detto Twitter. Inoltre, durante il periodo dell'indagine, il 26% delle persone intervistate erano molto interessate allo scandalo, mentre il 34% era in qualche modo interessato, il 19% "non molto interessato" e il 20% non era interessato affatto.

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