"Propaganda terroristica", così il governo turco ha definito i contenuti pubblicati sul social network, affibbiando una multa da 50 mila dollari a Twitter. L'accusa è quella di non aver rimosso i post contenenti i messaggi ritenuti propagandistici nonostante le richieste del governo di Ankara. La risposta dell'azienda americana è stata secca: nessun pagamento, anzi, Twitter ha querelato le autorità turche definendo la richiesta "illegale". L'obiettivo è quello di arrivare al ritiro della multa, il cui pagamento sarebbe dovuto avvenire entro la giornata di mercoledì 6, termine ampiamente superato.
"La Turchia prenderà ogni misura necessaria per attuare la sanzione e portare Twitter a pagare i 50 mila dollari di multa" ha annunciato Binali Yildirim, Ministro delle Comunicazioni turco. Tra queste, però, non sembrerebbe essere contemplato il blocco di Twitter nel paese. Non è la prima volta in cui la Turchia cerca di censurare il portale di microblogging. In seguito alla sparatoria nella redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, infatti, le autorità turche avevano chiesto di eliminare i tweet contenenti offese rivolte a Maometto. Un'operazione ripetuta ciclicamente con tutte le piattaforme online, comprese Facebook e YouTube.
D'altronde la stessa Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha fortemente criticato e condannato le continue richieste di censura da parte del governo di Ankara, che nel 2014 aveva bloccato YouTube a causa di alcuni messaggi terroristici non rimossi e aveva censurato i video satirici su Ataturk, il primo presidente della Turchia. All'interno del suo annuale Rapporto Trasparenza di Twitter, il documento che illustra le richieste di rimozione di contenuti e le richieste di informazioni da parte dei governi, l'azienda ha specificato che la Turchia è responsabile del 72% delle richieste totali delle autorità.