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Un’intelligenza artificiale per scoprire chi mente al confine, ma i dubbi sono molti

Presto potremmo avere delle guardie di frontiera virtuali, basate su una intelligenza artificiale. Il loro scopo sarebbe quello di identificare quali migranti stanno mentendo sulla loro provenienza e sulle ragioni del loro viaggio, il tutto basandosi sulla comunicazione non verbale, osservando le espressioni del volto.
A cura di Juanne Pili
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Un giorno le guardie di frontiera potranno essere sostituite da una intelligenza artificiale? Stando al progetto messo in campo dall'Unione europea nell'ambito del programma Horizon 2020 la risposta sembrerebbe affermativa. Sono stati stanziati ben quattro milioni di euro per avviare le prime sperimentazioni nelle frontiere dell'Ungheria, della Grecia e della Lettonia. Secondo i ricercatori coinvolti sarebbero state raccolte già prove sufficienti ad attestare l'efficacia del loro software intelligente, il quale sarebbe in grado di capire se le affermazioni dei migranti sono vere o false. Stando però a quelle presentate non sembrano sufficienti. Ad oggi buona parte degli esperti è molto scettico riguardo alle sue capacità, senza contare che nemmeno gli umani hanno mai ottenuto risultati soddisfacenti nel saper individuare negli interrogatori chi stesse mentendo.

Una guardia di frontiera virtuale

Lo iBorderCtrl è stato presentato al Manchester Science Festival il 20 ottobre scorso. Si tratta di una guardia di frontiera virtuale che a detta dei suoi sviluppatori dovrebbe rivoluzionare il futuro dei viaggi e della sicurezza internazionale. Non ci è dato sapere al momento in che modo i suoi ideatori hanno affrontato il problema ancora molto dibattuto dei “pregiudizi”, che gli algoritmi si portano a presso nel selezionare soggetti in carne e ossa, si tratta di un problema già messo in luce in altri ambiti, come la selezione del personale. Il sistema infatti utilizza l'intelligenza artificiale per capire se le persone mentono su chi sono e perché viaggiano, tutto attraverso calcoli basati sulla comunicazione non verbale, come il battito delle palpebre. Ma non esistono ancora basi scientifiche solide a supporto di questo metodo per identificare chi sta mentendo.

"Lie to me" e i controlli aeroportuali di Ekman

Forse ci siamo lasciati prendere la mano da serie di successo come “Lie to me”, dove una versione poliziesca di Dottor House risolve i casi semplicemente guardando in faccia le persone, scoprendo dalle loro microespressioni se mentono oppure no. Poco importa se si tratta pur sempre di una serie ispirata alla vera storia di Paul Ekman uno psicologo il cui lavoro si concentrò sul riconoscimento delle emozioni attraverso le espressioni facciali. Lo stesso Ekman è stato criticato quando le sue ricerche sono state applicate dalla Transportation Security Administration americana, con l’introduzione di “screening” dei passeggeri. Tali applicazioni non erano supportate da verifiche sperimentali, lo stesso Ekman ammise che nessuna macchina potrebbe sostituire l’uomo nel rivelare le menzogne, nonostante lui stesso avesse collaborato allo sviluppo di un primo software per il rilevamento emozionale denominato “Face reader”. Prendiamo atto quindi che il massimo esperto in questo campo, per quanto aperto alla possibilità, si è dimostrato scettico all'idea di applicare queste tecniche mediante un software. Anche sulle applicazioni da parte di esseri umani non abbiamo risultati incoraggianti. Gli psicologi sociali Charles F. Bond Jr. e Bella DePaulo hanno svolto una verifica sistematica delle tecniche più in voga nel riconoscimento delle espressioni facciali e delle relative comunicazioni non verbali, rivelando la presenza di numerosi bias che inficiano i risultati delle ricerche fin’ora condotte. Il loro lavoro è stato pubblicato in una antologia intitolata “Is Anyone Really Good at Detecting Lies?”.

Quanto sono attendibili i comportamenti non verbali?

I comportamenti non verbali sono certamente tenuti in considerazione nell’ambito delle scienze forensi, ma da soli sono insufficienti a decretare con tutta certezza se un soggetto sta mentendo. Tutt’oggi nella fase preliminare delle indagini è necessaria la presenza di investigatori addestrati negli interrogatori – particolarmente nel saper cogliere delle contraddizioni nelle affermazioni degli interrogati, in relazione alle deposizioni di altri testimoni – mentre ci si avvale anche di psicologi specializzati. Insomma, le nozioni a nostra disposizione su cosa possono comunicare inconsciamente posizioni, gesti ed espressioni facciali, da sole non sono rilevanti se non si ha un contesto più ampio, che al momento difficilmente una intelligenza artificiale potrebbe padroneggiare. Persino quando si utilizzano strumenti più "accurati" come il poligrafo, il pericolo di ottenere falsi positivi è sempre da tenere in considerazione. Per quanto gli ideatori di questo “lie detector” siano entusiasti del progetto – come l’informatica Keeley Crockett della Manchester Metropolitan University – promettendo di identificare i bugiardi con un 76% di certezza, “ma crediamo di portare il livello all'85 percento”, tale sicurezza non sembra avere basi solide. L’esperimento condotto dai ricercatori e che dovrebbe dimostrarne l’efficacia è stato condotto su un gruppo di appena 30 persone. Piuttosto risicato per poter gridare al miracolo.

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