Uno scambio di Bitcoin produce più rifiuti di due smartphone
Quando due iPhone giungono alla fine del loro ciclo di vita, quando cioè diventano rifiuti elettronici, gettarli via significa aggiungere 272 grammi alla discarica di immondizia tecnologica. Lo stesso peso è raggiunto dagli scarti materiali prodotti da una transazione di criptovalute: è il risultato di una ricerca condotta da Digiconomist, in collaborazione con il Massachusetts Institute of Technology (MIT). La piattaforma olandese, impegnata nell'esporre le conseguenze economiche involontarie dei trend digitali, ha calcolato, con il supporto dell'università americana, la quantità di rifiuti generati dall'utilizzo di una valuta sempre più utilizzata nel mondo.
I dettagli della ricerca
"Il crescente problema dei rifiuti elettronici dei Bitcoin", titolo dello studio pubblicato sulla rivista "Resources, Conservation and Recycling", lascia intendere fin da subito quale sia il contenuto principale dell'indagine. Nonostante la sua natura incorporea, l'economia basata sulle criptovalute genera grandi quantità di materiali che risultano difficili da smaltire: basti pensare a tutti quei dispositivi necessari alle transazioni (computer, cellulari, tablet ecc.) composti sia da componenti tossiche che da elementi utili, ma di cui ci si disfa senza recuperare i secondi, in quanto assemblati in modo da impedirne il riciclaggio.
Per dare l'idea delle ricadute ambientali, lo studio ha calcolato che in un anno si raggiunge un valore pari a 30,7 kton (3000, 7 tonnellate). La cifra potrà lasciare impassibili i non addetti ai lavori, ma si tratta di una quantità di rifiuti prodotta da un intero stato, in questo caso quello dei Paesi Bassi. Ma è possibile che, visti di i massimi livelli di prezzo del Bitcoin all'inizio di questo anno, il record annuale possa arrivare – e addirittura superare – i 64,4 kton.
Gli effetti collaterali
"Il crescente consumo di energia di Bitcoin ha innescato un appassionato dibattito sulla sostenibilità della valuta digitale. Eppure, la maggior parte degli studi finora ha ignorato che il loro ciclo di vita attraversa una quantità crescente di hardware di breve durata che potrebbe esacerbare la crescita dei rifiuti elettronici globali". Il commento degli autori non lascia spazio a perplessità e, implicitamente, pone l'accento sul rischio corso dai paesi del terzo mondo, sfruttati per prelevare le risorse necessarie alla produzione della struttura hardware dei dispositivi.